Un’opera nata per caso
Gli appassionati conoscono assai bene le sfortunate vicende che, nel 1834, accompagnarono la stesura di Maria Stuarda, programmata e improvvisamente proibita al Teatro San Carlo di Napoli. Donizetti lavorò all’opera per l’intera estate del 1834 assieme al giovanissimo Giuseppe Bardari (qui alla sua prima – e unica – prova come librettista), dopo aver invano ricercato la collaborazione di Felice Romani. Il debutto era previsto per il 6 luglio ma i ritardi di Romani e la conseguente scelta di Bardari fecero spostare la data al 15 agosto per rimandarla ancora ai primi di settembre. Da notare che il libretto, sottoposto alla censura il 19 luglio, non era mai stato ufficialmente approvato e, nell’attesa, le prove e la messa in opera di scene e costumi proseguivano alacremente. Il 4 settembre Bardari venne convocato dal censore Francesco Ruffa che richiese ampi cambiamenti: effettuati questi si dava per scontato un imminente debutto dell’opera, tanto che la prova generale venne effettuata o il 5 o il 6 settembre con esiti assai felici (come narra lo stesso Donizetti in due lettere). Il 7 settembre, tuttavia, l’opera venne proibita e dichiarata non accettabile, nonostante i cambiamenti nel libretto già operati da Bardari. Sul perché di questo improvviso divieto è possibile formulare solo ipotesi, alcune delle quali diventate quasi subito leggenda:
- Potrebbe aver influito la furibonda lite intercorsa tra Anna Del Sere e Giuseppina Ronzi de Begnis durante le prove delle celebre invettiva che, al “vil bastarda”, si trasformò in una zuffa tra cantanti? Questa ipotesi appare improbabile, anche perché poi il clima alle prove si rasserenò fino alla Generale e, comunque, le due avrebbero recitato la stessa scena anche nel Buondelmonte, sia pure con testo diverso;
- La stessa invettiva poteva causare problemi ma, in questo caso, sarebbe bastato semplicemente cambiare il testo e, soprattutto, gli scandalosi “meretrice indegna oscena” e “vil bastarda”;
- La scena della Confessione potrebbe essere stata alla base del divieto? Un’altra leggenda vuole che la cattolicissima Maria Cristina di Savoia, discendente di Mary Stuart, abbia assistito alla Prova Generale svenendo per l’emozione durante il Duetto della Confessione. Considerando il carattere cattolico e devoto della Regina, che non amava frequentare il teatro, una sua presenza ad una prova sembra estremamente improbabile (ed è infatti vista con dubbio da Jeremy Commons nei suoi studi sulla censura napoletana);
- Il divieto potrebbe essere venuto direttamente dal re, Ferdinando II, anche se sulle motivazioni si possono solo fare illazioni. Uno splendido saggio di Alexander Weatherson affronta l’ipotesi più plausibile e affascinante: benché simbolo del cattolicesimo la figura di Mary Stuart era divenuta un anche simbolo pericolosamente sovversivo secondo una leggenda che la voleva aiutata, nella congiura contro Elisabetta I, da sediziosi carbonai. Il riferimento ai Carbonari, la società segreta fondata proprio a Napoli e ancora viva nel ricordo dei Moti napoletani del 1820, era evidente. Nell’immaginario collettivo, quindi, Maria Stuarda non era solo una Regina Cattolica ma anche (se non soprattutto) una Regina Carborara, ovviamente inacettabile sulle scene del San Carlo. L’ipotesi avanzata da Weatherson è senz’altro la più attendibile storicamente.
Sta di fatto, che Maria Stuarda non poté andare in scena e bisognava trovare un nuovo soggetto. In un primo tempo si prese in considerazione la Giovanna Grey ma, nonostante la somiglianza della vicenda e della collocazione temporale, esso venne proibito dalla censura perché, nonostante non fosse mai stata incoronata, Lady Jane Grey era comunque una regina. In cerca di soggetti privi di scomode teste reali da gestire la scelta cadde infine su Buondelmonte.
Da Maria Stuarda a Buondelmonte
Donizetti aveva già accarezzato la storia di Buondelmonte e la presenza della rivalità amorosa di due donne, un tema affine alla rivalità espressa tra Maria Stuarda e Elisabetta I, avrebbe sicuramente agevolato il travaso della musica all’interno del nuovo libretto. In realtà, escluso questo elemento, vi è poco altro in comune tra i due soggetti, ma il tempo stringeva e bisognava sbrigarsi. Lo stesso Donizetti, in una gustosa lettera scritta a Jacopo Ferretti il 7 ottobre 1834 (e riportata anche nella Premessa Storica all’edizione critica di Maria Stuarda) annuncia i cambiamenti effettuati ponendoli in rima:
Duetto e cori nuovi, di già sono impastati; recitativi spurii di già sono copiati; oggi la prima prova s’è fatta del pasticcio; se n’esco sano e salvo, mai più, mai più m’impiccio.
Ti basti saper solo che d’una gran preghiera ne feci in Buondelmonte congiura bella e intera. A morte iva la donna? invece muor Pedrazzi; Delser dannava a morte? Or soffre dei strapazzi. Erano sei fra tutti? Or sono dieci e più; come diventi l’opera, immagina ora tu!
Tre sono i cambiamenti importanti (escludendo i nuovi recitativi) a cui va incontro il Buondelmonte rispetto alla prima stesura di Maria Stuarda:
- Il duetto tra Leicester e Elisabetta “Era d’amor l’immagine” viene sostituito con “Se credi ch’empia sorte”, mutuato da un duetto aggiunto per la Pasta e Donzelli nella Fausta data a Venezia pochi mesi prima. Questo brano, particolarmente lodato dalla critica, dovette piacere a Donizetti che, revisionando Maria Stuarda per le recite milanesi del dicembre 1835, lo inserì dopo la cavatina di Maria affidandolo alla protagonista e a Leicester.
- Il Coro “Giuraste omai di rendervi” che apre il Finale I venne ripreso dal Finale I di Alina, regina di Golconda; da notare che il brano venne anche posto a sostituzione del Coro iniziale originale (poi da Donizetti riutilizzato ne La Favorite) nella versione spuria dell’opera allestita a Napoli nel 1865 (e allestita per tutto il ‘900 fino alla riscoperta dell’autografo con conseguente stesura dell’edizione critica).
- La Preghiera “Deh, tu di un’umile” venne cambiata nel concertato della congiura “Se in me dileguisi”.
Pietro Salatino, librettista siciliano che per Donizetti aveva già preparato la Sancia di Castiglia, fu costretto ad adattare il libretto velocemente e, considerando le premesse, con risultati tutt’altro che malvagi. La storia di Buondelmonte de’ Buondelmonti era ed è un episodio abbastanza noto nell’ambito della storia fiorentina medievale e viene considerato da Nicolò Machiavelli, nelle Istorie Fiorentine, come il germe dell’insanabile lotta intestina tra Guelfi e Ghibellini. Anche Dante appoggia questa teoria, facendo descrivere l’assassinio di Buondelmonte da Cacciaguida nel Canto XVI del Paradiso e inserendo Mosca dei Lamberti tra i sobillatori di discordie nel Canto XXVIII dell’Inferno. Secondo la tradizione fu durante la preparazione dell’assassinio di Buondelmonte che nacque il detto “Cosa fatta capo ha”, pronunciato proprio da Mosca per spingere i Lamberti a non perdersi in chiacchiere e passare ai fatti (da cui il contrappasso dantesco che vuole il dannato mutilato di entrambe le mani); Salatino, ovviamente recupera la leggenda e fa pronunciare la fatidica frase a Mosca nella scena della congiura. Il Buondelmonte storico era, in effetti, conteso tra due matrimoni politici in una situazione complicata e, comunque, mal gestita (che gli costò la vita): è estremamente improbabile che le giovani a lui destinate spasimassero d’amore come Irene e Bianca nel libretto di Salatino, ma sarebbe ingiusto pretendere una simile verosimiglianza storica dal povero Buondelmonte. In fondo nemmeno Mary Stuart era Maria Stuarda.
Perché pubblicare il libretto?
Buondelmonte è sicuramente un’opera minore nel catalogo donizettiano, eppure è protagonista di un curioso caso di “cambiamento” librettistico. Spulciando in rete, difatti, è abbastanza semplice trovare la copia integrale del libretto di Buondelmonte che, però, presenta sempre uno strano succedersi di eventi nelle scene finali. Nel momento in cui Lamberto decide di andare a uccidere Buondelmonte Bianca resta sola con Tedaldo, con cui inizia a confidarsi: improvvisamente entra Giovanna con il coro, senza indicazione di didascalia, e Bianca teme per la vita di Buondelmonte cantando l’aria “Ah, forse il misero” (che corrisponde a “D’un cor che muore” di Maria Stuarda). Ritorna Lamberto con il ferro insanguinato annunciando la morte di Buondelmonte e Bianca, tremando, sembra rivolgersi a lui in “Ah! Tu ben sai quest’anima”, uno strano duetto con Tedaldo modellato su “Quando di luce rosea”. Un duetto strano perché nel momento di massimo climax emotivo (Lamberto ha appena ucciso Buondelmonte) questo lungo brano non fa altro che rallentare la tensione, anziché portarla all’eccesso. Terminato il duetto escono Bianca e Tedaldo (il quale dovrebbe incongruamente “togliere l’incauto dal periglio” ma l’incauto è già morto) ed entra il coro, con il ritmo funereo del canto di morte di Stuarda. In questo momento ritorna Lamberto che getta la spada insanguinata i piedi di Bianca, evidentemente riapparsa, che può agevolmente cantare la sua cabaletta finale di maledizione, “Voce ancora m’avanza che basti”.
Al di là delle mancate didascalie la costruzione di questo finale appare molto strana: perché Donizetti (che proprio negli anni ’30 mostrava una crescente attenzione nella gestione dei climax emotivi) aveva deciso di dilatare in questo modo gli avvenimenti conclusivi dell’opera dopo l’uccisione del protagonista, intaccando peraltro una struttura (quella della Stuarda) che aveva bell’e pronta? Il libretto con questa costruzione appare in tutti i siti internet che ho consultato, evidentemente basati sull’imponente lavoro di Egidio Saracino che, in Tutti i libretti di Donizetti (Garzanti, 1993), segue la medesima lezione.
La spiegazione è molto semplice: evidentemente Saracino si è basato, per il suo ciclopico lavoro di trascrizione, sulla copia anastatica del libretto pubblicata nel 1977 dalla Donizetti Society all’interno del Donizetti Society Journal 3, interamente dedicato a Maria Stuarda. Nella pubblicazione in questione, però, si assiste a un curioso errore nella numerazione delle pagine: le pp. 205-6 sono indicate come pp. 207-8 e viceversa. La lezione di Saracino ripoduce esattamente il testo seguendo l’ordine errato delle pagine. Riportando invece le pagine al loro ordine si nota che il libretto riacquista equilibrio e logica, peraltro rispettando la naturale sequenza delle scene, che viene erroneamente corretta sia in Saracino che nelle trascrizioni attualmente presenti in rete. Pensando di far cosa gradita agli appassionati donizettiani, ho deciso quindi di pubblicare il libretto del Buondelmonte correggendo l’errata trascrizione e riportando le scene al loro ordine. Nell’eventualità che una trascrizione corretta sia già stata effettuata e sia disponibile on line vi invito a segnalarlo nei commenti.
La locandina della “prima” di Buondelmonte
Buondelmonte – tenore – (Signor Francesco Pedrazzi)
Bianca degli Amidei – soprano – (Signora Giuseppina Ronzi de Begnis)
Lamberto – baritono – suo fratello – (Signor Federico Crespi)
Eleonora de’ Donati – mezzosoprano – (Signora Anna Salvetti)
Irene de’ Donati – soprano – sua figlia – (Signora Anna Del Sere)
Tebaldo – basso – (Signor Carlo Ottolini Porto)
Giovanna – mezzosoprano – confidente di Bianca – (Signora Teresa Zappucci)
Mosca Lamberti – basso – congiunto degli Amidei – (Signor Natale)
Oderigo Fifanti – tenore – congiunto degli Amidei – (Signor Achille Balestracci)
Stiatta Uberti – basso – congiunto degli Amidei – (Signor Sparalik)
La trama (in breve)
L’azione si svolge a Firenze nell’anno 1215
Atto I – Irene de’ Donati e sua madre Eleonora attendono il ritorno di Buondelmonte, promesso sposo della ragazza che lo ama teneramente, nonostante Tedaldo la metta in guardia sulle conseguenze di questo sentimento. Mosca, parente della famiglia Amidei, vorrebbe vendicarsi perché Buondelmonte avrebbe dovuto sposare Bianca degli Amidei, non una donna dell’odiata famiglia rivale, ma i Donati reagiscono con sdegno alle sue proteste. Tedaldo cerca invano di convincere Buondelmonte a desistere dal matrimonio con Irene, ricordandogli le promesse fatte a Bianca degli Amidei: l’uomo, tuttavia, non sente ragioni e rassicura Irene circa il suo amore. Bianca, intanto, attende il ritorno del suo amato ma riceve invece la notizia del suo imminente matrimonio con Irene. Lamberto, fratello di Bianca, si reca furioso dai Donati per impedire le nozze. Anche Bianca giunge al palazzo de’ Donati per tentare di convincere Buondelmonte a tornare da lei. I Donati orgogliosamente scacciano gli Amidei dopo un aspro confronto tra Bianca, Irene e Buondelmonte.
Atto II – Lamberto minaccia di morte Irene de’ Donati se sposerà Buondelmonte: se il traditore non vuole sposare Bianca che non sposi nemmeno lei. La ragazza è terrorizzata ma rifiuta di obbedire e, assieme a Buondelmonte, scaccia Lamberto dalla sua casa. L’uomo, assieme ai congiunti degli Amidei, ordisce una congiura per vendicare l’onore della famiglia. La notizia lascia sconvolta Bianca, che prega Tedaldo di avvertire Buondelmonte e salvargli la vita. Troppo tardi: Lamberto uccide Buondelmonte in duello e annuncia a Bianca d’aver compiuto la sua vendetta. La donna, disperata, si accascia tra le braccia di Giovanna, sua confidente.
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#1 di Marin Faliero il 6 aprile 2011 - 09:05
Comlimenti Pruun ..avanti così !!