Anche se la Newton aveva immesso nel suo catalogo le edizioni integrali dei libretti di Rossini, Bellini e Verdi (tutte pubblicate alla fine degli anni ’90) non compì mai l’atteso passo di consegnare alle stampe un’integrale testuale donizettiana. Forse furono proprio la complessità e l’enormità del materiale relativo al musicista bergamasco a impedire l’impresa, o chissà cosa: un’integrale dei libretti di Donizetti, comunque, è stata per qualche tempo reperibile per la Garzanti, nell’ambito di una serie di integrali librettistiche in cui, prima di Donizetti, erano già stati pubblicati Verdi, Mozart, Puccini, Rossini e Wagner. Il volume, a cura di Egidio Saracino ed edito nel 1993, è oggi rintracciabile esclusivamente presso librerie specializzate in rimanenze perché, ovviamente, è fuori catalogo. Rispetto alle edizioni della Newton questa della Garzanti si segnala non solo per il prezzo (ovviamente più caro) ma anche per l’assenza di Appendici con arie alternative che, c’è da giurarlo, avrebbero fatto quantomeno raddoppiare il numero delle pagine complessive (che già così si attesta attorno alla rispettabile cifra di 1307, cui si aggiungono le 38 della Prefazione). Dal 1993 ad oggi lo studio delle fonti donizettiane ha compiuto passi da gigante, sia per quel che riguarda la riscoperta di versioni alternative e inedite (a volte a essere scoperte sono state addirittura intere opere), sia per la definizione dell’importanza storica di Gaetano Donizetti nell’ambito dell’opera italiana del Primo Ottocento. Indubbio che un contributo ulteriore in questo senso lo abbia fornito proprio la pubblicazione di Saracino che, venendo dopo quasi quarant’anni di ininterrotta “Donizetti Renaissance”, forniva uno strumento prezioso e indispensabile a studiosi e appassionati, ponendosi nella Prefazione questioni estetico – storiche quanto mai pregnanti:
Ed ecco allora prendere maggior consistenza l’indebitamento verdiano nei confronti di Donizetti dentro i cui spartiti sono radicate pure certe esigenze del comporre di Verdi, la più evidente fra tutte è quell’ossessiva ricerca nei libretti della cosiddetta “parola scenica”. […] che sia Verdi un “postdonizettiano”?
Un’impresa ciclopica e pioneristica, quindi, e come tale sperimentale, dato che non tutti i melodrammi donizettiani trovano spazio all’interno dell’ampio volume. Lo stesso Saracino elenca i criteri che lo hanno convinto a pubblicare i 62 libretti di cui è composta la sua integrale, il primo dei quali è l’effettiva rappresentabilità dei titoli pubblicati, caratteristica che ha escluso dalla raccolta non solo i frammenti dell’Olimpiade e della Bella Prigioniera, ma anche L’ira di Achille, l’Enrico di Borgogna e La romanziera (o romanzesca) e l’uomo nero. Per quel che riguarda Olimpiade e Bella Prigioniera è facile supporre che i numeri rimasti (tre duetti in tutto) non siano musica sopravvissuta a due integrali perdute ma che si tratti di pezzi staccati; la composizione dell’Ira di Achille venne effettivamente interrotta nel II Atto mentre l’Enrico di Borgogna manca di un importante duetto nel I Atto, perduto. Diverso è il caso della romanziera: il libretto, perduto, alternava ampi parlati ai numeri musicali e in assenza di un plot drammatico la comprensione dei brani cantati risulta essere, in effetti, piuttosto complicata anche se questo non ha impedito riprese in tempi moderni, magari affidando ad estrosi registi il compito di stendere da zero i dialoghi. Per quest’opera si sarebbe potuto, in effetti, includere il testo dei soli numeri musicali. Assenti dalla raccolta anche l’incompiuta Ne m’oubliez pas (incisa da Opera Rara) nonché l’Elisabetta di Siberia e il suo corrispettivo francese, Élizabeth, ou la fille del’exilé (allestite per la prima volta solo nel 1997 e 2003).
Ogni opera viene preceduta da una breve e agile introduzione storica, cui segue il testo integrale. Purtroppo non vengono, in generale, fornite indicazioni (eccetto la riproduzione della copertina del testo d’epoca) sulla versione del libretto che viene pubblicata, che immagino spesso provenire dalle stampe della prima rappresentazione: lo confermerebbero Emilia di Liverpool (pubblicata nella sua I Versione) e Gabriella di Vergy, datata 1826 ma il cui testo è quello del debutto della versione spuria del 1869 (in questo caso la versione viene segnalata in una nota). Questa, tuttavia, non sembra una regola generale, dato che il libretto della Zoraida di Granata corrisponde alla II revisione del 1824 e il Campanello alla II versione del 1837 (anche perché al debutto del 1836 pare non venne stampato il libretto); compaiono, a volte, alcune arie di ignota provenienza (come la strana cabaletta “Un momento di piacer” che chiude L’Elisir d’Amore) mentre, nel caso della Maria Stuarda, viene edito il libretto non censurato, quindi con la Scena della Confessione non edulcorata e gli insulti della protagonista al loro posto. Curioso l’errore, da me segnalato anche in questo post, nella trascrizione del libretto del Buondelmonte, causato da un’errata numerazione delle pagine nel “Donizetti Society Journal 3”, evidentemente alla base della trascrizione, dove era stata stampata la copia anastatica del libretto della prima.
In conclusione una pubblicazione importante che, nonostante i suoi limiti “pioneristici” è ancora oggi uno strumento prezioso e utile, almeno finché non si metterà in cantiere una nuova integrale che obbedisca a criteri di completezza maggiori e che integri i testi con le varie arie e/o versioni alternative che sono emerse negli ultimi anni di studi donizettiani.
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