La Colbran della DiDonato

Che Joyce DiDonato sia una delle più autorevoli e importanti interpreti rossiniane dei nostri tempi è fuor di dubbio e, proprio per questo, l’uscita del suo recital Colbran, the Muse è stata accolta, due anni fa, con grande curiosità ed interesse da parte dell’intero mondo melomane. Dedicare un intero programma ad un’artista mitica nella storia del melodramma del XIX secolo è stato, da parte dell’energica e talentuosa cantante americana, un gesto di ammirevole coraggio, anche se, dopo l’ascolto, la reazione che ho avuto non è stata quell’entusiasmo che mi sarei aspettato di ritrovare dopo la sua strepitosa Adina pesarese del 2003 e dopo la splendida Cenerentola targata Naxos. Non che la DiDonato canti male, ci mancherebbe, ma l’impostazione monografica del recital appare curiosamente altalenante tra brani maggiormente riusciti e altri (in particolare le due grandi scene tratte dall’Armida) decisamente meno convincenti anche se, ahimé, ambiziosamente scelti per aprire e chiudere l’impegnativo programma del disco. Questa la tracklist:

  • Armida – D’amore al dolce impero
  • La donna del lago – O mattutini albori / Tanti affetti
  • Maometto II – Giusto ciel, in tal periglio
  • Elisabetta, regina d’Inghilterra – Quant’è grato all’alma mia
  • Semiramide – Bel raggio lusinghier
  • Otello – Ah! Dagli affanni… Assisa a pié d’un salice
  • Armida – Se al mio crudel tormento… È ver… gode quest’anima!

Joyce DiDonato, mezzosoprano
con Lawrence Brownlee
Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia – Roma
Edoardo Müller
1 CD Virgin – 72’05”

La primadonna spagnola Isabella Colbran è una delle artiste più controverse e misteriose della storia dell’opera: sappiamo che doveva avere una vocalità estesissima ed eccezionale, che dalle tonalità del contralto si era spinta fino all’acquisizione di parti sopranili. Le opere che Rossini scrive per lei sono tutte, in effetti, di estrema difficoltà e impiegano la voce soprattutto nella zona centrale (la nota più alta scritta per la Colbran è un si): per questa ragione si è sempre più affermata (soprattutto negli ultimi anni, anche se non mancano illustri precedenti come Frederica Von Stade) la tendenza ad affidare  le cosiddette “parti-Colbran” a mezzosoprani tendenzialmente acuti, come è appunto il caso di Joyce DiDonato.

Sembra incredibile credere alle cronache dell’epoca di Rossini, in cui spesso si lamenta lo stato di declino della Colbran negli anni in cui il pesarese compose per lei alcune tra le sue più celebri creazioni, ascoltando le enormi difficoltà contenute nella musica modellata esattamente sulle qualità vocali dell’artista. Scrive Philip Gossett nelle note di introduzione al disco:

La Colbran appare in maniera straordinaria nel manoscritto autografo di Armida […]: nel margine della conclusione del Finale Primo scrisse il suo nome “Isabella” in maniera tale da suggerire che sedesse di fronte a Rossini mentre egli componeva. […] È difficile pensare che un compositore scrivesse tali splendori per una cantante in declino. Una cosa è chiara: Isabella aveva bisogno di tempo per riscaldare la voce.

Gossett prosegue poi spiegando proprio questo concetto e facendo notare come la struttura di quasi tutte le opere napoletane  destinate alla Colbran “risparmiasse” la protagonista nel I Atto per destinarle le scene di maggiore impegno e protagonismo negli atti seguenti: una cantante, quindi, molto probabilmente tutt’altro che finita ma che necessitava di particolarissimi accorgimenti per permettere alla sua arte di emergere nel migliore dei modi. L’attenta lettura delle recensioni dell’epoca (non solo napoletane, ma anche quelle – decisamente più severe – veneziane e londinesi) ci permette tuttavia di accogliere l’ipotesi di un’effettiva fase di declino vocale della Colbran negli anni delle opere napoletane di Rossini, consentendoci anche di capire che il momento aureo dell’artista doveva necessariamente essere passato. Non è, in sintesi, peregrino ipotizzare che al momento di creare i personaggi rossiniani la voce della primadonna spagnola doveva essersi inscurita e, forse, anche invecchiata, anche se aveva ancora moltissime frecce al proprio arco.

Alle prese con tessiture francamente anfibie come sono quelle dei “ruoli-Colbran” una voce come quella di Joyce DiDonato sembrerebbe offrire una decisa quadratura del cerchio: mezzosoprano chiaro (dal colore sopranile) e assai esteso in zona acuta, la cantante americana appare decisamente a suo agio nelle tesstiture della Colbran, offrendo molte interpretazioni preziose all’interno del cd Virgin, tra cui spiccano i due brani dalla Donna del Lago (unico ruolo finora debuttato, che l’artista americana porterà anche alla Scala), la preghiera del Maometto II e la sognante cavatina dall’Elisabetta, Regina d’Inghilterra. Del pari molto bella è la resa della celebre entrata di Semiramide mentre il vertice del disco è raggiunto con la splendida Canzone del Salice dall’Otello, offerta in una splendida interpretazione.

I brani che, invece, non convincono e sono alla base della lieve delusione di cui parlavo all’inizio sono quelli dell’Armida offerti in apertura e in chiusura di recital (rispettivamente con il grande tema con variazioni “D’Amore al dolce impero” e con l’impegnativo e drammatico Finale). Emergono qui i limiti della DiDonato come candidata ideale ai ruoli Colbran: se l’espressività dolente di Anna Erisso, la malinconia sognante di Elena e il cupio dissolvi di Desdemona appaiono quanto mai congeniali al temperamento dell’artista (che riesce a inserire in maniera plausibile in questo clima espressivo anche Elisabetta e Semiramide) il fraseggio ampio e magniloquente della grande maga tassesca non rientra, invece, nelle corde migliori della DiDonato. La sua Armida è affrontata con coraggio ed estrema precisione musicale, ma appare priva di quel tragico sex-appeal primadonnesco che ne costituisce il fascino più segreto e sfuggente, senza contare la fastidiosa presenza di alcuni suoni fissi che stupiscono in una cantante tanto raffinata e musicale.

Primadonna Joyce DiDonato lo è di certo e non sarò io a sollevare dubbi sulle sue qualità: il suo carisma, però, vive di una sensualità sorridente, giovanile e vitale che ritengo incompatibile con il mostruoso protagonismo richiesto a una creatura talmente estrema da spingersi a dialogare con Amore e Vendetta in persona prima di scatenare la sua furia distruttrice. Per queste ragioni (stante anche la saggia rinuncia a cimentarsi in brani da Ermione o Zelmira) il disco appare come un bellissimo recital rossiniano, coinvolgente ed appagante sotto molteplici punti di vista (l’Otello e la Donna del Lago meritano davvero l’acquisto e l’ascolto), ma l’enigma della Colbran appare ancora aperto, al pari della ricerca di una voce in grado di raccoglierne al completo la variegata eredità musicale.

La foto di Joyce DiDonato appartiene al servizio Virgin per il lancio del recital ed è stata presa dal sito dell’artista.

Licenza Creative Commons
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