Maometto & Maometto: Gioachino Rossini

Ascoltare il Maometto II tenendo presente il luogo comune secondo cui Rossini sarebbe un compositore astratto e sostanzialmente poco interessato ai suoi soggetti è abbastanza utile per capire come, in realtà, non sempre questa posizione sia sostenibile. Molti studiosi hanno, infatti, parlato di “tinta” (usando un termine verdiano) per definire il clima tragico e disperato di cui l’intera partitura è permeata: priva di Sinfonia (come è il caso per la maggior parte delle opere “sperimentali” composte per il Teatro San Carlo di Napoli da Rossini) l’opera inizia infatti con una complessa Introduzione in cui episodi corali e tirate solistiche si alternano nella definizione di un clima notturno di incertezza e paura. Lo stesso clima sperimentale del lavoro è anche alla base della smisurata dilatazione cui sono sottoposti i numeri della partitura: in un’opera seria dal soggetto tragico era infatti consuetudine applicare lo stile alto anche alla costruzione della partitura, all’uopo dilatata nelle proporzioni per raggiungere quel sublime senso drammatico necessario; eppure, anche tenendo conto di queste premesse, l’abnorme ingigantirsi delle proporzioni all’interno dei numeri dell’opera stupisce ancora oggi l’ascoltatore rossiniano.

La trama

Durante l’assedio di Negroponte ad opera di Maometto II Anna, la figlia del governatore Paolo Erisso, riconosce nel conquistatore l’uomo amato, che tempo prima le si era presentato sotto il nome del veneziano Uberto. Straziata tra amore e dovere al termine la ragazza accetterà di sposare il veneziano Calbo cercando di favorire la vittoria dei veneti e suicidandosi sulla tomba della madre davanti al disperato Maometto. Sia Paolo Erisso (in realtà Paolo Erizzo) che Calbo (Alvise Calbo) sono personaggi storici realmente esistiti oltre, ovviamente, a Maometto II, ovvero Mehmet II Al-Fātih, che nel 1453 aveva conquistato Costantinopoli ponendo fine all’esistenza millenaria dell’Impero Romano d’Oriente. Negroponte cadde nel luglio 1470 e fu teatro di una sanguinosa strage, in cui praticamente tutti gli abitanti vennero passati a fil di spada; Paolo Erizzo, a cui Mehmet II promise salva la testa, venne condannato a un atroce supplizio con il quale Mehmet intendeva rispettare la sua promessa con perfida ironia: Erizzo venne segato in due. L’unico sopravvissuto al massacro fu Gian Maria Angiolello, che visse per diciotto anni come schiavo nel serraglio scrivendo un’Historia Turchesca sulle imprese di Maometto II.

Il soggetto non è tratto, come per lungo tempo si è creduto (v. anche questo post), dalla tragedia di Voltaire Le Fanatisme, ou Mahomet le Prophète ma dal dramma Anna Erizio di Cesare Della Valle, duca di Ventignano (ispirato all’Historia Turchesca di Angiolello), il quale lavorò in contemporanea sia allla stesura del libretto che a quella della tragedia, fornendo peraltro a Rossini uno dei migliori libretti (se non in assoluto il migliore) che il pesarese abbia potuto musicare. Stando a quanto scrive lo stesso Della Valle in una prefazione al lavoro fu proprio Rossini a innamorarsi del soggetto e a pregare il letterato di adattarlo alla musica: lo sfogo con il quale Della Valle “confessava” le pressioni di Rossini è presente solo nelle prime edizioni della sua tragedia e venne eliminato nelle successive, il che potrebbe far pensare a un fondo di verità nell’infatuazione di Rossini per il soggetto. Un fatto è che la vicenda si prestava meravigliosamente ad essere musicata nel più schietto stile “sublime”, sperimentando al contempo il già citato ingigantirsi di forme e numeri musicali per narrare al meglio il vero e proprio dramma collettivo, oltre che privato, dell’intera vicenda. Esempio paradigmatico di questa dilatazione è la Scena e Terzettone (denominazione inedita e unica all’interno di tutta la storia dell’opera italiana del Primo Ottocento) che, nel I Atto, concentra in oltre 30′ di musica una serie di accadimenti che, per dirla con Giovanni Carli Ballola “percorrono lo spazio teatrale con l’incalzante concitazione di un bollettino di guerra, mutando incessantemente persone e luoghi dell’azione con tecniche narrative che non esiteremmo a definire cinematografiche“. All’interno del medesimo numero, infatti, si alternano due terzetti assieme alla celeberrima preghiera “Giusto Ciel, in tal periglio” (che, a differenza di quanto avverrà nella rielaborazione francese dell’opera – Le Siège de Corinthe – non è qui in una posizione tale da porsi come aria da applauso) inframezzati da un audace cambio scena a vista (dalle stanze di Anna alla piazza di Negroponte) nonché legati senza quasi soluzione di continuità al successivo Coro e Cavatina di Maometto dove, peraltro, si resta nel medesimo luogo ma si passa bruscamente dalla notte al giorno.

Nel 2008 il Rossini Opera Festival allestì il Maometto II in uno spettacolo estremamente tradizionale con scene di A‎lberto Andreis e la regia di Michael Hampe: l’allestimento fu bello, anche se non memorabile e, anzi, venne anche ingiustamente sbertucciato (quando approdò in Germania) proprio per il suo essere didascalicamente fedele alle indicazioni del libretto. Anche prescindendo dal fatto che non è l’eventuale osservanza o meno di quanto previsto nelle indicazioni sceniche a definire la riuscita di una mise en scène (ma questo è un discorso più complesso) lo spettacolo aveva un innegabile pregio nel suo rendere tangibile (con il previsto cambio scena a vista seguito dal cambio di tempo) l’estrema sperimentalità della scrittura rossiniana contrapposta alla convenzionalità delle esigenze sceniche.

All’ampio Terzettone segue l’ingresso di Maometto, che Rossini costruisce con una virtuosistica aria con cabaletta che, dopo il tragico clima notturno delle scene precedente, contrasta sia per lo spericolato e solare virtuosismo del vincitore che per la maggiore regolarità della forma musicale.

Lo sperimentalismo rossiniano (evidente anche nel finale, in cui alla primadonna è negato il “conforto” di una cabaletta dopo una lunga e composita scena solista con ampi interventi del coro) è evidente anche nel toccante duetto del II Atto tra Anna e Maometto: ascoltando il cupo Larghetto durante il quale Anna “vaneggiando” ricorda i tempi felici della sua vita prima di conoscere Maometto ritorna alla mente il luogo comune del Rossini astratto di cui parlavo all’inizio e ci si chiede come un compositore scarsamente interessato ai suoi personaggi possa aver composto un brano carico di un così intenso cupio dissolvi, in cui anche il madrigalismo della discesa al grave contenuta nei “cupi abissi” si carica di un rimpianto presago di morte. Lo stesso virtuosismo della cabaletta “Gli estremi accenti ascolta” non è fine a se stesso (non lo è mai, del resto, in Rossini e sarebbe ora di cercarli, quesi accenti nascosti di cui lo stesso compositore parla, anche all’interno delle figurazioni ornamentali e non solo, come spesso avviene, nonostante esse) ma esprime a meraviglia l’ansia e la lacerazione di una separazione che avvertiamo come definitiva tra i due amanti.

La Versione di Venezia

Due anni dopo il debutto dell’opera napoletana, accolto da successo abbastanza scarso, il lavoro venne ripreso alla Fenice di Venezia per l’inaugurazione della Stagione 1822 (26 dicembre): in realtà si sarebbe dovuta rappresentare Zelmira, ma il titolo era stato messo in cartellone dal rivale Teatro San Benedetto. Per Venezia Rossini approntò non solo un improbabile lieto fine alla vicenda (l’orrore e lo smacco per l’evento storico oggetto dell’opera, anche se precedente di alcuni secoli, era evidentemente ancora vivo nella laguna) appoggiandosi, storicamente, alle prime fasi della lotta che videro i veneti primeggiare, ma l’intera partitura venne ampiamente rimaneggiata e, in un certo senso, “normalizzata”, evitando gli eccessi sperimentali napoletani che, evidentemente, non potevano essere proposti tal quali a Venezia. Una nuova Sinfonia, basata su temi dell’opera, venne composta e preposta alla cupa Introduzione che, a Napoli, faceva alzare il sipario nel pieno degli eventi dell’opera. Inutile dire che l’ampio Terzettone venne smembrato in due numeri (separati ovviamente dal cambio scena), il primo dei quali consisteva nel quartetto “Cielo, il mio labbro ispira” preso dal Bianca e Falliero riprendendo poi la seconda parte dell’originale Terzettone dal coro femminile subito precedente la preghiera di Anna. Anche il rapido cambio di tempo (da notte a giorno) che segnava l’ingresso di Maometto sparisce, mentre nel II Atto scompare la seconda aria di Maometto e viene aggiunto un nuovo Terzetto tra Maometto, Erisso e Calbo. Anna, una Isabella Colbran piuttosto provata vocalmente e in una delle sue prime esibizioni fuori Napoli (la compagnia del San Carlo era diretta a Vienna) si vide togliere la breve cavatina d’entrata (sostituita da un fatuo coro di ancelle preso da Ermione) e aggiungere nel finale il collaudato Rondò “Tanti affetti” della Donna del Lago. Nonostante abbia conosciuto alcune riprese moderne non prive di meriti questa versione alternativa dell’opera appare indubbiamente meno interessante e persuasiva del più cupo e coerente originale.

Ascoltare Maometto II

Per uno di quei curiosi balzelli discografici (fin troppo frequenti nel gestire la permanenza in catalogo dellle varie incisioni) sono al momento disponibili sul mercato ben due registrazioni della Versione di Venezia (di cui una, addirittura, in DVD) contro l’unica edizione della versione originale, che è ancora la vecchia (ma bella) versione Philips ora riedita nell’economica serie della Universal Trio. Nonostante qualche minimo taglio operato da Claudio Scimone (tra cui quello, abbastanza strano, del da capo di “Gli estremi accenti ascolta”) l’edizione Philips conferma la sua vitalità, soprattutto per merito delle prove maiuscole di Samuel Ramey (ineguagliato Maometto) e June Anderson. Purtroppo fuori catalogo la bella registrazione pesarese del 1993 (con un ottimo Michele Pertusi e una brava Cecilia Gasdia diretti da Gianluigi Gelmetti) ma mai edito nemmeno il video delle recite, sempre pesaresi, del 1985 che segnarono il ritorno dell’opera sulle scene nel bello spettacolo di Pier Luigi Pizzi: c’è da augurarsi che la Rai restauri il video e lo riproponga su Rai5 come già fatto con il Ricciardo e Zoraide del 1990 e che magari ne curi anche una pubblicazione. Per quanto riguarda le versioni di Venezia è possibile orientarsi sui 3 cd Naxos (nel complesso di livello accettabile) o sul dvd Dynamic che riproduce il bell’allestimento di Pizzi (realizzato proprio a Venezia) con il discreto Lorenzo Regazzo, la brava Carmen Giannattasio e l’ottima Annarita Gemmabella, Calbo anche per la Naxos. L’unico aspetto che non convince nella realizzazione veneziana è la resa del personaggio di Condulmiero, che è tenore nella versione di Napoli ma basso a Venezia (stante anche l’inserimento del Quartetto dal Bianca e Falliero), anche se nell’autografo dell’opera (da cui sono ricostruibili entrambe le versioni) la tirata nell’Introduzione non risulta modificata per la diversa vocalità del primo interprete veneziano (Luciano Mariani, poi primo Oroe in Semiramide): nei cd Naxos si sceglie un basso e si adegua la scrittura dell’Introduzione con risultati decisamente migliori di quelli veneziani, dove la scelta di un controtenore (sia pure bravo come è Nicola Marchesini) appare quantomeno bizzarra.

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  1. #1 di vorreispiegarviohdio il 26 novembre 2012 - 10:35

    Del Maometto pesarese per fortuna, oltre alla registrazione video RAI parecchio disturbata, soprattutto nell’aria di Calbo . – povera Lucia! -, c’è anche un ottima registrazione audio: trovo che la Gasdia, nei vari ruoli Colbran affrontati, dia qui il meglio.

    • #2 di Gabriele Cesaretti il 27 novembre 2012 - 19:29

      Io confesso di non amare molto la Gasdia nei ruoli Colbran, perché la trovo spesso sottodimensionata alle esigenze della parte (come ad esempio in Armida ed Ermione): trovo però che tra le sue cose migliori (accanto alla Zelmira di Roma e alla Desdemona di Pesaro) le due Anne Erisso pesaresi, pur con i loro difetti, meritino un posto di rilievo, soprattutto per il fraseggio.

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