Tamino alla guerra

Ogni genere artistico ha delle regole ben precise, violando le quali rischia di essere snaturato nella sua essenza più profonda. L’opera lirica nasce e vive, innanzitutto, a teatro e nello spazio teatrale trova la sua ragion d’essere: trasferire un’opera lirica al cinema per farne un film può condurre a uno spiacevole effetto boomerang, ovvero scontentare i melomani e al tempo stesso annoiare i cinefili. Di fatto quasi tutte le trasposizioni cinematografiche di celebri opere liriche si sono risolte in un nulla di fatto per una serie di problemi squisitamente pratici, tra cui spicca quello del tempo. L’opera vive di tempi lenti e riflessivi, spesso incompatibili (anche nel caso delle opere più vivaci e drammaturgicamente brillanti) con il dinamismo richiesto al linguaggio cinematografico. Ne sa qualcosa Franco Zeffirelli, che ha girato ben due film-opera (La traviata e Otello) i quali, al di là del risultato artistico (discreto nel primo caso, discutibile nel secondo), sono stati accumunati da inaccettabili rimaneggiamenti delle partiture verdiane per “adattarle” al linguaggio cinematografico. Si tratta, mutatis mutandis, dello stesso problema in cui è incorsa la recente trasmissione televisiva “Mettiamoci all’opera”: le arie liriche sono state sminuzzate per essere adattate ai “tempi” televisivi (ancora più rapidi di quelli cinematografici) e gli artisti costretti a esibirsi anche in brani leggeri riadattati. Quello che ne esce non scontenta il melomane perché il melomane “è snob” (come amano dire certe anime candide), ma perché (molto semplicemente) non è opera, ma un qualcosa di diverso da ciò che dovrebbe essere un’opera lirica.

Tornando ai film-opera non mancano, ovviamente, luminosi risultati ottenuti da importanti registi che si rivelano essere le classicissime eccezioni che confermano la ancor più classica regola: un esempio è nel poetico Flauto Magico – Trollflöjten realizzato (in traduzione svedese) da Ingmar Bergman nel 1975 e filmato nello splendido teatrino settecentesco di Drottningholm, ma molto bella è anche la Carmen firmata nel 1984 da Francesco Rosi e realizzata in una Siviglia torrida, esotica e sensualissima. Del pari riuscito non sembra purtroppo essere The Magic Flute di Kenneth Branagh, trasposizione cinematografica del celebre singspiel da parte del talentuoso regista inglese, che non replica il miracolo del film di Bergman nella resa della poesia e della sfuggente inafferrabilità dell’opera mozartiana. Il lavoro di Branagh, presentato fuori concorso al Festival di Venezia del 2006, pur rivelandosi spesso affascinante non nasconde i suoi punti deboli, a cominciare dalle motivazioni che ne hanno portato alla realizzazione, dato che, come ha dichiarato lo stesso regista, uno degli obiettivi principali era nella maggiore diffusione da dare al genere dell’opera lirica:

Il motivo principale che ci ha spinto a realizzare questo adattamento è stata la volontà di rendere l’opera lirica accessibile anche al grande pubblico che frequenta le sale cinematografiche, e abbiamo scelto Il flauto magico proprio perché è una delle opere più aperte e comprensibili, alla portata di tutti.

Il problema è lo stesso con cui si è aperto questo post: l’unione dei due generi può condurre a risultati affascinanti, ma rischia di scontentare tutti nel tentativo di accontentare più gente possibile. Le motivazioni possono essere riassunte nel commento di un utente di MyMovies:

Penso di far parte di quella fetta di pubblico che un’operazione del genere possa scontentare nel peggior modo: un cinefilo melomane! Una creatura emersa dai peggiori incubi di chi pianifichi di portare al cinema un’opera lirica, e che farebbe meglio – la creatura – a restarsene a casa. Come in questo caso. […] Se l’operazione deve essere, poi, quella di avvicinare all’opera il pubblico cinematografico, niente di più sbagliato: quello che si può ottenere è di portare al cinema qualche (normalmente esigentissimo) appassionato d’opera, e farlo tornare a casa con l’amaro in bocca. Insomma: chi già conosce il Flauto Magico si trova di fronte a qualcos’altro, chi non lo conosce, se ne farà un’idea sbagliata. (martedì 3 luglio 2007 di Rudy Gonzo)

Il problema del film di Branagh è proprio questo: al di là di qualche splendido momento (non si è Kenneth Branagh per nulla) questa toccante riflessione sulla guerra, sulla pace e sulla fratellanza risulta compatibile solo in parte con l’opera mozartiana e con le scelte stilistiche del regista britannico. L’ambientazione nella I Guerra Mondiale, tanto per cominciare, convince proprio pochino, anche se in questo caso si tratta di una I Guerra Mondiale “di fantasia”.

Uno spettacolare piano sequenza iniziale (che è uno dei momenti migliori della regia) descrive lo scoppio della guerra durante l’Overture e ci introduce alla fuga del soldato Tamino nelle trincee (inseguito da gas venefici che svolgono la funzione del drago), in cui viene soccorso dalle tre dame vestite da crocerossine; Papageno, dal canto suo, giustificherà il suo occuparsi di volatili con l’allevamento di canarini che, nelle trincee, venivano usati proprio per segnalare eventuali presenze di gas. Date le coordinate principali il resto viene, più o meno, da sé: il lucchetto con cui le tre dame sigilleranno la bocca del bugiardo Papageno diventa una maschera antigas; le immagini di sogno che ha Tamino pensando a Pamina sono calate nell’atmosfera Belle Époque precedente il primo conflitto mondiale; la presenza di esplosioni e carri armati contribuisce a creare il giusto clima di panico e paura che la scena iniziale dell’opera richiese. Ha dichiarato Branagh:

Sono stato colpito dall’umorismo e dall’intensità drammatica di questa vicenda. Nella musica ho percepito un grido a favore della pace e così ho pensato alla Prima Guerra Mondiale perché è un momento buio, drammatico, con moltissime vittime. Questa scelta mi ha permesso di conciliare musica e ambientazione senza che una prevaricasse l’altra. Nell’opera originale ci sono dei vuoti di ambientazione perché il libretto dell’epoca si concentrava su altri aspetti. Il contesto di una guerra secondo me ha reso il tutto più interessante, ad esempio l’entrata di Tamino che avviene in una trincea fa percepire immediatamente il pericolo che l’uomo sta correndo, aumentando il pathos dell’opera.

Il problema dell’ambientazione è nella natura stessa delle conseguenze che la I Guerra Mondiale portò all’Europa, aprendo la strada alla nascita dei totalitarismi in Italia e in Germania, senza contare la crisi del Positivismo contemporanea al conflitto (nella consapevolezza che lo sviluppo tecnologico poteva portare anche morte e distruzione e non solo progresso) che, personalmente, mi sembra abbastanza incompatibile con il senso di illuministico progresso e di quieta serenità che viene comunque reso nelle scene di Sarastro e che, ovviamente, dovrebbe trasparire dalla luminosa scena di rinascita con cui si chiude l’opera. L’obiettivo di Branagh sembrerebbe allora quello di ricreare una sorta di storia alternativa a quella che è stata la storia “vera”, dimostrando come l’Amore possa aiutare a riconvertire il mondo alla pace e alla giustizia. Per questo mi sarei aspettato di vedere, al termine, la ricongiunzione della Regina della Notte con Sarastro (il Maschile e il Femminile riuniti dal principio d’Amore incarnato da Tamino e Pamina, come realizzato anche in molte regie teatrali), ma in realtà la donna si suicida gettandosi dalle finestre del palazzo di Sarastro (che tenta invano di salvarla).

L’impossibilità (almeno per quanto mi riguarda) di ricondurre a un’interpretazione riconoscibile e significativa molte delle scelte estetiche di Branagh rende The Magic  Flute una sorta di affascinante esercizio di stile, in cui alcune splendide immagini si alternano ad altre francamente meno riuscite (la resa delle due arie della Regina della Notte mi pare tra i momenti più deludenti del film, con i carri armati che sembrano uscire dalla bocca di Lyubov Petrova nel primo caso e il volo impazzito della donna nel secondo). Il fatto stesso che vengano eliminati i riferimenti alla Massoneria rende particolarmente deboli alcune scene chiave dell’opera, come quella delle tre porte o le prove a cui devono sottoporsi Tamino e Pamina (attraversare un campo tra i bombardamenti e uscire da una trincea allagata), impedendo di cogliere il significato del percorso iniziatico come via di unione degli opposti.

Meglio sarà allora concentrarsi sulle scene più riuscite e poetiche della pellicola, come lo spettacolare e già citato piano sequenza iniziale, in cui la camera sembra davvero palpitare al ritmo della musica mozartiana nel visualizzare la terra progressivamente devastata dal conflitto con la successiva fuga disperata di Tamino in trincea. Molto bella e toccante anche la resa della canzone di Papageno nel II Atto, con le fanciulle visualizzate prima in gabbia e poi libere di volare nel cielo terso assieme allo spensierato Papageno; affascinante l’atmosfera ricreata nell’aria di Sarastro, che descrive il suo palazzo senza odio facendo visitare a Pamina l’ospedale da campo che gestisce, in cui tutti sono intenti a lavorare per il bene della comunità, e davvero bello poi il finale, che mostra la rinascita della terra dopo la guerra su una delle più sublimi musiche mai composte da Mozart. Nonostante questo il risultato complessivo della pellicola mi pare deludente: né opera né cinema, una narrazione che resta alla superfice delle problematiche filosofiche e morali dell’opera mozartiana per “rifugiarsi” in un generico inno alla Pace e all’Amore (che è indubbiamente parte integrante della poetica mozartiana, ma che da solo non risolve la complessità di questo particolare singspiel). Nulla da dire, invece, sulla parte musicale, che si rivela essere di buon livello grazie a cantanti nel complesso abbastanza bravi oltre ad essere anche ottimi attori cinematografici: spiccano nel cast i nomi di René Pape come Sarastro e Lyubov Petrova come Regina della Notte, accanto ai giovani Joseph Kaiser (Tamino), Benjamin Jay Davis (Papageno) e Amy Carson (Pamina); la Chamber Orchestra of Europe è, infine, ben diretta da James Conlon.

Il film ha ricevuto, in generale, una buona attenzione dalla critica ma un successo al botteghino abbastanza scarso, nonostante il prestigio del nome di Kenneth Branagh come garanzia di qualità (e in effetti, dal punto di vista tecnico, ci sono pochi appunti da fare alla sua regia). Se l’obiettivo era quello di condurre più persone al cinema per scoprire il mondo dell’opera direi che non è stato raggiunto; se si eliminano molti dei riferimenti alla massoneria e al percorso iniziatico di Tamino e Pamina poi bisogna gestire i problemi di una trama che, infatti, molti critici (digiuni di opera lirica) hanno definito “stupida”… ma non è la trama ad essere stupida, è la mancanza del significato sotteso ad alcune azioni a renderla incomprensibile.

Clicca sul pulsante a lato per visitare il sito ufficiale del film. Da questo canale Youtube è possibile vedere anche alcuni estratti del film.

E con questo post si chiude la “fase” mozartiana di Non solo Belcanto e si chiude anche il 2011.

Le dichiarazioni di Kenneth Branagh sono tratte da questa intervista.

Clicca sul banner per leggere tutti gli articoli della rubrica “Opera e Cinema”:

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  1. #1 di icittadiniprimaditutto il 31 dicembre 2011 - 08:56

    Reblogged this on i cittadini prima di tutto.

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