Visto che negli ultimi post ho accennato sia a Bellini, che intendeva affidare il ruolo di Ernani a un contralto “en travesti” (anche Verdi aveva, sia pur per poco, accarezzato questa idea), sia al sensazionale esperimento di Marietta Alboni che affrontò, a Londra, la parte baritonale di Don Carlo in Verdi, non poteva capitare meglio la segnalazione di questo splendido libro di Marco Beghelli e Raffaele Talmelli edito dalla Zecchini Editore. Ermafrodite Armoniche è molto più che un “semplice” testo sul contralto ottocentesco: è anche un libro che cerca di ricostruire pazientemente e con amore un’estetica e una voce che sentiamo perduti, probabilmente, per sempre. In quest’ottica sperimentale e di ricerca va anche visto il ricco cd di ascolti (che vanno dai primi del ‘900 ai giorni nostri), in cui non sono presenti intere arie ma singoli frammenti utili a esaltare passaggi particolari o curiosi utilizzi di registro, sempre pazientemente e scrupolosamente richiamati durante la lettura (da effetuarsi per questo a portata di stereo): “nel Cd sono stati raccolti soltanto frammenti delle arie indicate, limitandosi a quei passi capaci di evidenziare le caratteristiche vocali qui inseguite” premettono gli autori all’indice degli ascolti, preceduto da una serie di note preziosissime per accostarsi con il giusto bagaglio culturale alle registrazioni risalenti ai primi anni del ‘900 e effettuate con tecniche spesso precarie. Ascoltare simili testimonianze eccezionali significa farlo consapevolmente ed evitando la superficialità di giudizi simili a quello (celeberrimo) di Mario Bernardi (marito di Anna Moffo), che disse, a proposito degli artisti di inizio XX secolo, “Erano tutti stonati. Tutti.”: ovviamente gli acuti sono spesso fissi, specialmente nelle registrazioni più antiche, ma questo perché mancano le armoniche superiori della voce, dato che le frequenze alte erano, all’epoca, impossibili da registrare. Ma, al di là delle note in questione che dovrebbero essere imparate a memoria da ogni musicofilo, quello che più affascina nel volume di Beghelli e Talmelli è il viaggio all’interno di una voce e di un timbro perduti, ricercati quindi in un appassionante viaggio storico ed esecutivo che va dal mondo dei castrati settecenteschi alla contemporaneità.
Il titolo deriva da un anonimo poeta napoletano che, cercando di trasmettere l’entusiasmo suscitatogli dall’Otello della Malibran, scrisse: “Sento cantar Desdemona / Con voce mascolina, / Sento cantar Desdemona / Con voce femminina / Ermafrodita armonica, / Voce che ugual non ha”; il componimento, del 1835, peraltro trova una sorprendente eco in un poema di Théophile Gautier del 1849, intitolato appunto “Contralto”, in cui l’ambiguità sessuale di questo timbro ambiguo viene così descritta: “Son double, homme et femme à la fois, / Contralto, bizarre mélange, / Hermaphrodite de la voix!” (suono doppio, uomo e donna a un tempo, / contralto, bizzarra mescolanza, / ermafrodito della voce!).
Il mito della “voce doppia” viene scandagliato accuratamente e molte mitiche dive ottocentesche vengono discusse (da Isabella Colbran a Giuditta Pasta senza dimenticare, ovviamente, la mitica Maria Malibran) analizzando tessiture delle “loro” opere e riportando estesi resoconti critici grazie ai quali, peraltro, la tesi che vuole il registro centrale di molte di loro come più debole rispetto agli estremi acuti e gravi (già sostenuta in maniera decisamente più spensierata nelle note del recital Maria di Cecilia Bartoli) risulta molto più convincente proprio per la cura e l’attenzione con cui questo libro, come ogni ricerca che si rispetti, riesce a creare molte domande senza porsi l’ambizioso obiettivo di porre a tutte una risposta.
Molto ricca l’appendice, in cui trovano spazio le testimonianze di illustri maestri, tecnici e artisti come Michael Aspinall, Richard Bonynge, Franco Fussi, Angelo Manzotti, Nico Paolo Paolillo, Adriana Rognoni (maestra della grande Lucia Valentini Terrani), Gloria Scalchi, Huguette Tourangeau e Elisabetta Fiorillo, che nel cd allegato ripete l’esperimento della Alboni affrontando, da par suo, “Oh de’ verd’anni miei” dall’Ernani.
Una menzione a parte merita la tristissima storia di Angela–Lily Dan (il vero nome non viene reso noto nel libro per volontà della famiglia), un portatore sin dalla nascita della Sindrome di Morris parziale (PAIS) che, avendo studiato canto in gioventù, giunse quasi a un passo dal debutto ufficiale in teatro. Negli anni ’70 Lily Dan si sottopose anche ad una serie di interventi chirurgici di adeguamento sessuale, che la resero uno dei primi transessuali italiani e una sorta di “ultimo dei castrati”, di grande importanza scientifica e sperimentale: ma al di là dell’interesse offerto dalla sua vocalità (una voce dall’estensione pazzesca e dal notevole volume) quello che intristisce e commuove nel toccante ricordo personale di Talmelli è notare come l’ignoranza e la cattiveria umane abbiano distrutto completamente una vita e, non a caso, Beghelli annota all’appendice che le pagine vogliono proporsi come “un omaggio postumo alla persona che fu e all’artista che non poté essere”. Se anche non ci fosse altro (e ce n’è, dato che l’analisi storica dell’evoluzione del contralto è eccellente e documentatissima) basterebbe questa tristissima storia finale per far riflettere il lettore, dando per scontato che, oltre ad essere appassionato di musica, sia in grando di avere anche una coscienza umana.
Il volume, infine, è la prima pubblicazione promossa dall’Archivio del Canto, un’iniziativa nata per valorizzare e incrementare il patrimonio della Biblioteca del Dipartimento di Musica e Spettacolo (Università di Bologna) nel settore del canto lirico: un inizio che promette bene.
Note dell’Editore
La quarta di copertina – Il contralto è morto. O forse no: semplicemente cerchiamo oggi ciò che non è, rigettiamo ciò che sarebbe. L’ascolto delle pionieristiche registrazioni di contralti attivi negli ultimi anni dell’Ottocento ci rivela voci di inimmaginabile ambiguità sonora: baritonaleggianti al grave, sopranili in acuto, senza nessun tentativo di mascherare lo scarto di registro ed anzi sottolineando le differenze con effetti da jodel. Dilettanti? Eppure furono le voci predilette da Wagner e Saint-Saëns, Strauss e Toscanini! Risalendo i decenni, scopriamo che l’appellativo audace di ermafrodite armoniche era stato speso con la più alta ammirazione per cantanti del calibro di Maria Malibran e Marietta Alboni, mentre emissioni baritonali furono apprezzate in castrati come Farinelli, Carestini, Pacchierotti, Marchesi. Il Novecento ha però spazzato via l’androginia della “voce doppia”, la tradizione operistica del “contralto sopranile”, preferendo il mezzosoprano d’estensione più contenuta ma omogenea, con acuti sonori e ben “coperti”, note gravi prive di eccessive risonanze “di petto”. E i “veri” contralti che hanno tentato di riproporre in pubblico il dualismo vocale naturalmente presente nella loro voce sono stati emarginati dalla vita teatrale. Documenti sonori (nel Cd allegato) e verbali (tante testimonianze d’epoca) s’intrecciano in questa trattazione assolutamente originale, che porterà il lettore (nonché ascoltatore) a dischiudere i segreti di un mondo solo apparentemente perduto.
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#1 di icittadiniprimaditutto il 25 febbraio 2012 - 10:21
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