Non sono un fan sfegatato di Montserrat Caballé. So che qualcuno non mi perdonerà questa amara confessione ma, ahimé, molto spesso la favolosa “Superba” mi causa rabbia più che ammirazione. Rabbia perché una voce strepitosa e un talento da vocalista con pochi rivali venne sacrificato più del dovuto a una preparazione sciatta e a un pressappochismo musicale veramente irritante. Proprio per contrastare questa opinione (che riconosco essere un po’ ingiusta) mi sento di segnalare uno dei miei dischi preferiti registrati dalla Caballé, un album dove l’artista è veramente superba e spiega tutte le possibilità di una voce che sembra quasi onnipotente: sto parlando del recentemente ristampato doppio cd che raduna i tre lp di rarità dedicati dalla catalana, tra il 1967 e il 1969, a pagine di raro ascolto (per l’epoca) di Gioachino Rossini, Gaetano Donizetti e Giuseppe Verdi. In questi recital (realizzati dopo il trionfo ottenuto nella donizettiana Lucrezia Borgia alla Carnegie Hall, con relativa incisione discografica per la Rca) c’è la misura della grandezza immensa di Montserrat Caballé, colta non solo in forma strepitosa, ma anche al di qua della fame onnivora di repertorio che la porterà a esplorare opere non sempre adatte alla sua personalità. Dimenticare gli eccessi delle infelici Gioconde e Medee degli anni ’70: nulla di tutto questo è presente nel doppio cd in questione, in cui la Caballé unisce a una forma vocale strepitosa anche una coscienza d’interprete e d’artista in grado di sopportare ben pochi confronti. L’esecuzione integrale di ampi stralci da opere dei tre autori sopracitati (manca solamente il da capo della cabaletta di Alzira) si giova infatti della strepitosa qualità timbrica dell’artista, innervata da un fraseggio e da una personalità di primo ordine, nel consegnare al disco tre tra i più entusiasmanti recital della storia della vocalità.
A essere onesti l’album rossiniano ci appare, oggi, un po’ invecchiato all’ascolto, ma questo perché le difficoltà nel gestire la coloratura di forza tramutata in coloratura di grazia (da sempre il terreno migliore della Caballé è stato quello dell’espressione sognante, patetica e lunare, pur non mancando di incisività nei passi più intensi di opere a lei congeniali come Norma o Roberto Devereux) dona alle pagine una levigatezza astratta non priva di fascino, ma decisamente troppo “placida” in confronto alla bruciante espressività che artisti come Lella Cuberli, Marilyn Horne, Chris Merritt e Rockwell Blake hanno saputo donare alla musica rossiniana. L’esecuzione della celebre cavatina di Tancredi è comunque molto suggestiva, pur nel suo porsi come aria “da concerto”:
Dove la catalana sale in cattedra e incanta senza se e senza ma è nelle pagine verdiane e, più ancora, in quelle donizettiane: la grande aria d’entrata di Gemma di Vergy è risolta con uno slancio e una penetrazione che nessuno (nemmeno la stessa Caballé quando proporrà varie riprese dell’opera in Europa e America a metà anni ’70) ha mai eguagliato; l’aria di Antonina dal Belisario è gonfia di un cupio dissolvi di grande suggestione; l’entrata di Eleonora nel Torquato Tasso sa coniugare malinconia e delicatezza con grande equilibrio e, infine, il gran finale della Parisina laurea la Caballé come donizettiana somma. È incredibile notare come l’artista riesca a donare alle fiorettatura dell’aria “Ciel, sei tu che in tal momento” una liquidità e un senso di ansia, pur senza turbarne l’apparente levità d’esecuzione, tali da far rimpiangere un mancato appuntamento nello studio di registrazione per una delle più belle e affascinanti composizioni del bergamasco. Carlo Felice Cillario è alla guida della Rca Italiana Opera Orchestra in Rossini e della London Symphony Orchestra in Donizetti, mentre Anton Guadagno dirige la Rca Italiana Opera Orchestra in Verdi: senza far gridare al miracolo entrambi si limitano ad accompagnare la Señora con senso del teatro e accortezza di tempi.
Un disco, in sintesi, che ogni appassionato di vocalità dovrebbe conoscere e che, peraltro, si rivela di grande importanza storica: all’epoca dell’uscita in lp, infatti, le opere scelte per comparire nel recital non godevano affatto della conoscenza, sia pur relativa, odierna e, per molti appassionati, si trattò della vera rivelazione di un mondo musicale sommerso, oltre che di un’artista somma. Le riscoperte donizettiane degli anni ’70, la grande avventura della Rossini Renaissance e la lunga serie di incisioni dedicate al repertorio verdiano degli anni di galera (avvenute anch’esse negli anni ’70 a cura della Philips) hanno un loro inizio in queste luminose esecuzioni vocali.
Nell’ultima ristampa del disco la Rca ha avuto la cura di fornire un’adeguata divisione in tracce per ogni scena, contrariamente alla prima edizione in cd dei tre lp, in cui ogni brano, non importa quanto esteso, era contenuto in un’unica track.

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#1 di icittadiniprimaditutto il 10 giugno 2012 - 22:44
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