Maria Callas: Callas at La Scala

Callas at La ScalaIn quasi due anni di attività del blog questo è il primo post che dedico all’arte di Maria Callas. Una mancanza per certi versi imperdonabile, dettata dalla mia personale idiosincrasia nei confronti dei “vedovi” più intransigenti, quelli che ritengono la mitica greca interprete incomparabile anche dei ruoli che non ha cantato, perché se li avesse cantati allora sì che non ci sarebbe stato spazio per nessuno. Il risultato del mio confronti con alcuni di questi “vedovi” è che per qualche periodo ho messo un po’ la Callas da parte, salvo poi riscoprirla come si riscopre un amico da cui ti eri allontanato per un’incomprensione indipendente dal vostro rapporto e, dato che negli ultimi tempi è stato questo il disco che è finito più volte nel mio lettore, questo propongo come “debutto” callasiano su queste pagine. Callas at La Scala  (attualmente disponibile nel catalogo Emi solo all’interno di un poderoso cofanetto che raccoglie tutti i recital in studio della Divina) nacque come una sorta di fotografia dei ruoli che, nel 1955, il soprano aveva portato in scena nel massimo teatro milanese: Medea di Luigi Cherubini nel 1953, La Vestale di Gaspare Spontini nel 1954 e La sonnambula di Vincenzo Bellini nello stesso anno, 1955, in cui ebbero luogo le sessioni di registrazione del disco in questione. La cosa curiosa, tuttavia, è che la Callas non si reputò soddisfatta del risultato ottenuto con le due grandi arie di Amina, tanto che ne vietò la pubblicazione e la Emi, che all’epoca aveva già in catalogo due album della Callas, Puccini Arias e il mitico Lyric and Coloratura Arias, pubblicò solo le arie di Medea e Vestale nel 1958, unendole alle arie di Amina tratte dalla registrazione integrale con la direzione di Antonino Votto. Ascoltando la sua Amina pudica e dolente si resta sorpresi e quasi stupiti del divieto callasiano, dato che si tratta di un’interpretazione ovviamente notevolissima (e che, per la cronaca, venne commercializzata dalla Emi un anno dopo la sua morte, aspettando il ventennale del 1997 per ristampare il disco così come avrebbe dovuto essere concepito in origine).

Ma se sonnambula è comunque affascinante, quello che rende irrinunciabile questo recital è l’esecuzione della grande aria di Medea del I Atto e di tre momenti dalla spontiniana Vestale: la preghiera “Tu che invoco con orrore”, l’aria “O Nume tutelar” e la struggente “Caro oggetto, il di cui nome”. Pur con tutta l’ammirazione per il live scaligero che riproduce la registrazione della Vestale con cui si inaugurò la Stagione del 1954/55 (il cui suono è sempre stato pessimo) ho sempre ritenuto che soprattutto in questi frammenti fosse possibile cogliere la grandezza della Giulia di Maria Callas, evidente soprattutto nell’ampiezza disumana del fraseggio, che svolge le paludate linee neoclassiche della musica spontiniana non dimenticando di innervare al loro interno potenti fremiti di inquietudine senza che l’austerità dell’interpretazione venga mai meno… un ossimoro difficilissimo da realizzare (e difatti riuscito a pochissimi altri interpreti) ma che racchiude il segreto del grande fraseggio aulico senza il quale opere come questa diventano impossibili da eseguire (e da ascoltare).

Il celebre Lyric and Coloratura Arias era stato un disco sconvolgente per la capacità callasiana di presentarsi come abnorme fenomeno vocale ma, a posteriori, ritengo molto più rivoluzionarie queste registrazioni, che ancora oggi risultano modernissime e dimostrano come un repertorio che sentiamo difficile e distante dalla nostra sensibilità abbia bisogno semplicemente dell’interprete giusto per rivelarsi vario e interessante quale è in realtà.

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  1. #1 di icittadiniprimaditutto il 22 dicembre 2012 - 00:38

    Reblogged this on i cittadini prima di tutto.

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