Meritoria, indubbiamente, l’iniziativa del Corriere della Sera, che ha presentato in dieci uscite un prezioso cofanetto contenente nove opere in cd e un documentario in dvd dedicati all’arte di Riccardo Muti alle prese con la musica di Giuseppe Verdi. Il titolo, pomposo, dell’intera raccolta è, da solo, tutto un programma: Riccardo Muti, Il mio Verdi. Sgombriamo subito il campo da quelli che, personalmente, ritengo essere i punti deboli della raccolta in questione, ovvero il solipsismo del direttore protagonista di tutte le incisioni, tanto da far sparire il nome dei solisti di canto dal retro di ogni booklet a partire dalla terza uscita, e il continuare nella retorica del Verdi che “diede una voce alle speranze e ai lutti, pianse ed amò per tutti”, secondo una patriottarda definizione di Gabriele D’Annunzio che, personalmente, trovo alquanto superata (ma ribadita nel dvd che costituisce l’uscita n.10 della serie). Verdi cantò l’Italia e gli italiani, questo è fuor di dubbio, ma soprattutto ne cantò i difetti e le contraddizioni, con quell’amore che non cela ma, al contrario, sottolinea quanto può e deve essere modificato: continuare nella retorica facile significa sottovalutare la portata politica del messaggio verdiano che, soprattutto in tempi tristi e complicati come quelli che stiamo vivendo, sarebbe invece molto importante.
Tornando alla collana andrà segnalato come le uscite più interessanti siano state senza dubbio le prime, non solo perché inedite ma soprattutto perché testimonianza dell’ultima e felice fase esecutiva di Riccardo Muti al Teatro dell’Opera di Roma. Non manca, certo, la Scala, ma è relegata a un’unica incisione (l’uscita n.9, il Falstaff con Juan Pons già disponibile nel catalogo della Sony) che peraltro non mi pare nemmeno tra i risultati più significativi ottenuti da Muti nei vent’anni in cui è stato il principale artefice delle stagioni del massimo milanese: inedito per inedito sarebbe stato allora interessante proporre La forza del destino andata in scena nel 1999 quando, ad onta di un cast in larga parte discutibile, la direzione di Muti raggiunse esiti decisamente interessanti. Sgombriamo dunque il campo dalle uscite n.6, n.7 e n.8: la prima è la “solita” traviata EMI con Renata Scotto, Alfredo Kraus e Renato Bruson; la seconda riproduce la mitica Aida EMI del 1974 con Montserrat Caballé, Plácido Domingo, Piero Cappuccilli, Fiorenza Cossotto, Nicolai Ghiaurov e la lussuosa presenza di Nicola Martinucci nei piccoli panni del Messaggero; la terza riguarda i bellissimi Quattro pezzi sacri incisi nel 1982 con la voce solista di Arleen Auger. Sgombriamo il campo non perché non siano incisioni meritevoli, anzi, ma perché ormai su tali notissime registrazioni sono stati versati fiumi di inchiostro e sarebbe inutile aggiungerne ancora: basti dire che si tratta di alcune tra le migliori registrazioni verdiane di sempre, soprattutto per merito della collaborazione di Muti, che firma direzioni splendide per precisione e tensione drammatica, con cast pieni di personalità di grande rilievo, un connubio che non sempre il Maestro sarebbe riuscito a ottenere nelle molteplici recite scaligere che avrebbero caratterizzato la sua carriera fino alla metà degli anni 2000.
Molto interessanti sono invece i volumi che vanno dal n.1 al n.5 perché, con l’eccezione del n.2 dedicato alla Messa da Requiem realizzata con la Chicago Symphony Orchestra e comunque distribuita in Italia su etichetta CSO Sound (ma il sito, nei primi tempi, la dava curiosamente come inedita in Italia… chissà perché), testimoniano quattro importanti tappe del nuovo corso romano di Muti: il Macbeth allestito nel 2011 (uscita n.1), l’Attila andato in scena nel maggio 2012, lo splendido Simon Boccanegra inaugurale della stagione 2012/13 nonché il Nabucco andato in scena durante l’estate 2013. Il “nuovo corso” mutiano si avvertenel maggior respiro lasciato al canto, nella notevole mutevolezza ritmica che abbandona l’ossessività di certe prove milanesi per innervare di un senso di malinconica decadenza molte musiche che, sentite e strasentite, acquistano in queste registrazioni uno splendido spessore: penso proprio al Nabucco, i cui cori poche volte come in questa registrazione sono parsi carichi di autentico pathos. I cast, nel complesso, sono più che dignitosi, con alcune punte di eccellenza come nell’Attila di Ildar Abdrazakov mentre, rispetto all’ascolto dal vivo, ricordavo migliore l’Ezio di Nicola Alaimo, cui la registrazione non rende affatto giustizia. In tre opere è protagonista Tatiana Serjan, soprano russo di voce incisiva e personale, per quanto di tecnica non del tutto sopraffina: alle prese con ruoli pesanti come Abigaille, Odabella e Lady Macbeth, tuttavia, la voce disomogenea della Serjan raggiunge risultati notevoli e interessanti, comunque sopportando pochi confronti con il panorama attuale. Nella Messa da Requiem, poi, oltre ad Abdrazakov si apprezzano Barbara Frittoli e Olga Borodina e Luca Salsi, infine, è un buon protagonista del Nabucco.
In generale si tratta comunque di cast che risentono della relativa crisi di voci attuale ma per i quali è evidente come Muti abbia cercato una qualità e un’armonia non sempre presente negli anni passati, riuscendo soprattutto a calibrare riletture affascinanti sulle personalità dei suoi artisti: avevo sempre trovato il Macbeth EMI con Sherril Milnes e Fiorenza Cossotto piuttosto debole, soprattutto se confrontato alla coeva registrazione di Claudio Abbado, ma è invece bellissima questa registrazione romana, nel cui sfinito cupio dissolvi, basato su una tavolozza di grigi dalle sfumature infinitesimali, ci sta bene non solo la scelta di innestare nel corpo della versione parigina il ben più cupo e pessimista finale del 1847 (con l’arioso di Macbeth “Mal per me” fatto, però, precedere da tutta la scena della battaglia nella versione 1847, non semplicemente aggiungendo l’arioso alla versione rivista) ma in cui trova un senso notevole anche il fraseggio spento di Dario Solari, che su questa orchestra crea il suo miglior Macbeth, dato che Muti sa sfruttare la reletiva inerzia interpretativa del baritono uruguagio nella creazione di un uomo sconfitto e vinto già in partenza, di notevolissima suggestione. Capolavoro della serie è poi il Simon Boccanegra, che peraltro in questi giorni ha trasmesso in video anche Rai5: Muti, chiamato all’impegnativo confronto con l’eterno rivale Abbado (che di Simone offrì una lettura a lungo considerata giustamente di riferimento) non solo offre un’esecuzione molto bella ma anche una versione assai personale, perché forse ci volevano quella malinconia e libertà “romane” per permettere al maestro napoletano di approcciare un titolo così impegnativo e carpirne il segreto esecutivo. Oltretutto il Simone presenta anche il cast migliore dell’intera serie di inediti, schierando una brava Maria Agresta, un notevole Francesco Meli, il buon Fiesco di Dmitri Beloselsiy (comunque troppo leggero per la parte, ma non è che esistano chissà quali alternative oggi) e, soprattutto, il bravo George Petean, baritono rumeno che crea un Simone notevolissimo per qualità di canto e di fraseggio. In tempi in cui quest’opera splendida e difficilissima è appannaggio di ex tenori declinanti o baritoni declinati (c’è da rimpiangere quando la si considerava troppo difficile e non la si allestiva quasi mai o, almeno, si dedicava una cura particolare alla produzione) questa di Muti, per direzione e cast, può essere considerata la migliore esecuzione degli ultimi anni, tanto che ben meriterebbe una diffusione in grado di andare al di là del prodotto destinato al mercato delle edicole.
Piano dell’opera
- 01 – Macbeth
- 02 – Messa da Requiem
- 03 – Attila
- 04 – Simon Boccanegra
- 05 – Nabucco
- 06 – La traviata
- 07 – Aida
- 08 – Pezzi Sacri
- 09 – Falstaff
- 10 – Documentario: Riccardo Muti dirige Giuseppe Verdi
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