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L’altro Verdi: Quartetto in mi minore

In the SouthSono ripetitivo, lo so, ma credo che gli anniversari possano essere spesso una terribile arma a doppio taglio: con l’intento di celebrare e ricordare l’arte di un musicista si rischia, a causa del sovrapporsi di iniziative fin troppo variegate e spesso non gestite con la cura che meriterebbero, una sorta di sovraesposizione mediatica che nuoce, più che giovare, alla memoria di chi si vorrebbe celebrare. Questo è il rischio che si corre, in questo 2013, con il profluvio di allestimenti di traviata, Aida, Rigoletto che saranno messi in scena in Italia e nel mondo in omaggio ai 200 anni dalla nascita di Giuseppe Verdi, come se le sue opere non fossero tra le più rappresentate di sempre. Proprio per questo meritano una segnalazione anche altri tipi di omaggio, forse in apparenza meno spettacolari, ma senz’altro più ricercati e con il merito, tutt’altro che secondario, di gettare spesso una nuova luce su aspetti meno conosciuti di autori che si crede di conoscere a menadito. Il nuovo album del Brodsky Quartet edito dalla Chandos è uno di questi casi: all’interno di una scaletta musicale molto affascinante e ben costruita, infatti, il gruppo inserisce l’esecuzione del grande Quartetto in mi minore di Giuseppe Verdi, strana e curiosa incursione del bussetano nel mondo della musica da camera. Di per sé la composizione di un quartetto d’archi da parte di un grande operista italiano del XIX secolo non sarebbe una notizia molto strana: Gaetano Donizetti, tanto per citare un solo nome, ne scrisse addirittura diciotto, alcuni dei quali veramente molto belli e particolari; quello che colpisce nella composizione di Verdi, però, è il fatto che sia stata scritta in un momento storico molto particolare (1873), quando cioè in Italia ferveva la discussione sull’opportunità o meno di fornire finanziamenti pubblici ai teatri e ai Conservatori mentre la fondazione di molte Società del Quartetto aveva creato una sorta di snobismo dilagante nei confronti della “volgare” opera lirica, considerata inferiore alle lusinghe della musica da camera. L’opinione di Verdi era che lo stato dovesse finanziare i teatri con la produzione di nuove opere: allora i grandi compositori e i grandi musicisti non sarebbero certo mancati, dato che era l’opera lirica il genere in cui la produzione musicale italiana poteva eccellere, a dispetto di chi cominciava a snobbarla in favore delle lusinghe della musica strumentale d’oltralpe.

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