Articoli con tag Callas
Maria Callas: Callas at La Scala
Pubblicato da Gabriele Cesaretti in Belcanto, Biblioteca / Discoteca, Callas Maria, CD, Gaspare Spontini, La vestale, Operisti in Europa, Voci & Recital il 22 dicembre 2012
In quasi due anni di attività del blog questo è il primo post che dedico all’arte di Maria Callas. Una mancanza per certi versi imperdonabile, dettata dalla mia personale idiosincrasia nei confronti dei “vedovi” più intransigenti, quelli che ritengono la mitica greca interprete incomparabile anche dei ruoli che non ha cantato, perché se li avesse cantati allora sì che non ci sarebbe stato spazio per nessuno. Il risultato del mio confronti con alcuni di questi “vedovi” è che per qualche periodo ho messo un po’ la Callas da parte, salvo poi riscoprirla come si riscopre un amico da cui ti eri allontanato per un’incomprensione indipendente dal vostro rapporto e, dato che negli ultimi tempi è stato questo il disco che è finito più volte nel mio lettore, questo propongo come “debutto” callasiano su queste pagine. Callas at La Scala (attualmente disponibile nel catalogo Emi solo all’interno di un poderoso cofanetto che raccoglie tutti i recital in studio della Divina) nacque come una sorta di fotografia dei ruoli che, nel 1955, il soprano aveva portato in scena nel massimo teatro milanese: Medea di Luigi Cherubini nel 1953, La Vestale di Gaspare Spontini nel 1954 e La sonnambula di Vincenzo Bellini nello stesso anno, 1955, in cui ebbero luogo le sessioni di registrazione del disco in questione. La cosa curiosa, tuttavia, è che la Callas non si reputò soddisfatta del risultato ottenuto con le due grandi arie di Amina, tanto che ne vietò la pubblicazione e la Emi, che all’epoca aveva già in catalogo due album della Callas, Puccini Arias e il mitico Lyric and Coloratura Arias, pubblicò solo le arie di Medea e Vestale nel 1958, unendole alle arie di Amina tratte dalla registrazione integrale con la direzione di Antonino Votto. Ascoltando la sua Amina pudica e dolente si resta sorpresi e quasi stupiti del divieto callasiano, dato che si tratta di un’interpretazione ovviamente notevolissima (e che, per la cronaca, venne commercializzata dalla Emi un anno dopo la sua morte, aspettando il ventennale del 1997 per ristampare il disco così come avrebbe dovuto essere concepito in origine).
Gothic Tales – 4 – Ernani di Giuseppe Verdi
Pubblicato da Gabriele Cesaretti in Biblioteca / Discoteca, CD, DVD, Ernani, Giuseppe Verdi, Operisti dell'Ottocento il 18 febbraio 2012
Se il Nabucco fu, per Giuseppe Verdi, l’opera dell’affermazione l’Ernani si pose come il lavoro che ne consolidò il successo, diffondendosi a macchia d’olio in tutta Italia dopo il debutto del 9 marzo 1844 al Teatro La Fenice di Venezia (peraltro era la prima volta che Verdi componeva per un teatro che non fosse la Scala). Merito della travolgente piena melodica della musica verdiana, merito delle atmosfere vagamente risorgimentali e barricadere che la resero subito gradita al pubblico ma merito, anche, delle situazioni lugubri e goticheggianti di una storia che, al pari di molti film horror dei nostri tempi, vede compiersi la catastrofe finale nel momento in cui tutto sembra felicemente risolto. Ricordava il grande critico ottocentesco Filippo Filippi, nella “Perseveranza” del 31 gennaio 1881, che buona parte del successo del lavoro, negli anni subito seguenti il debutto, era da attribuirsi anche al fascino inquietante e sinistro dato dal suono del corno che ricorda a Ernani la necessità di compiere il suo suicidio d’onore: “La gente, prima di coricarsi, guardava intorno per paura che ci fosse Don Gomez De Silva col suo corno fatale, pronto a suonare durante la notte”. Il commento viene riportato in un saggio del 1951 da Emilio Radius, che chiosa giustamente: “A parte il valore della musica, impressioni simili ne fecero sul pubblico dei nostri tempi soltanto certi film muti che giovavano della suggestione di una nuova arte o di un nuovo artificio”. Era forse perché consapevoli dell’effetto “estremo” e terrorizzante offerto dal misterioso suono che avviene fuori scena, che durante le prove organizzatori e censori (che già avevano tollerato la scelta di un soggetto considerato “scandaloso” come l’Hernani di Hugo) avanzarono dei dubbi sul cupo si naturale con cui Silva annuncia, nel IV Atto, la sua vendetta? Le atmosfere goticheggianti e misteriose dell’Ernani non finiscono, tuttavia, qui: è indimenticabile il cupo impasto orchestrale con cui si apre il III Atto tra i sepolcri di Aquisgrana. La toccante meditazione di Don Carlo sulla futilità della vita viene introdotta da un celeberrimo assolo di clarino basso (lo stesso strumento protagonista dello splendido Preludio all’Atto II della Maria de Rudenz e che, incredibilmente per l’epoca, il Teatro La Fenice aveva stabilmente in organico) che contribuisce a definire un clima di sepolcrale suggestione: come nota Fabrizio Della Seta in origine l’assolo doveva essere di tromba, ma la presenza di questo strumento così particolare in organico e il fascino del suo timbro così insolito sono stati più attraenti per il giovane compositore.
Rosa dei Venti – 1 – Il Pirata di Vincenzo Bellini
Pubblicato da Gabriele Cesaretti in Biblioteca / Discoteca, CD, Il pirata, Operisti dell'Ottocento, Vincenzo Bellini il 1 ottobre 2011
Una serie di opere unite da un comune denominatore: la presenza del mare, come via di fuga, ma anche come espressione dell’anelito all’infinito che è tratto caratterizzante di buona parte della poetica romantica. Eroi maledetti, pirati e corsari ma anche terre lontane ed esotiche sono al centro delle quattro opere di cui si compone il ciclo Rosa dei Venti. Clicca sul banner qui sopra o nella colonna per leggere tutti gli articoli del ciclo.
Non sono, in fondo, molte le opere che, al pari del belliniano Pirata, possono vantare lo status di testo mitico così come di prima opera, sotto molti aspetti, autenticamente romantica nella letteratura musicale italiana e, al tempo stesso, melodramma in grado di creare un vero e proprio archetipo, quello dell’ eroe-tenore bello di sventura e destinato, ovviamente, a fine tragica. Non che il soprano, ovviamente del tenore amante, abbia una fine migliore, dato che le spetta una lunga e composita scena di pazzia che si rivela come la prima di una lunga serie di follie romantiche che attraverseranno tutto il XIX secolo. Il destino tragico di Imogene e di Gualtiero (questi i nomi dei protagonisti del Pirata) si esprime in un’opera e in un’atmosfera che, sotto molti punti di vista, lo stesso Bellini non ricercherà più: come negare il clima romantico dei Capuleti ed i Montecchi? Eppure la presenza di un contralto “en travesti” nei panni dell’eroe amoroso obbedisce a canoni diversi da quelli del realismo dei sentimenti tipico dell’idea romantica. Come negare le suggestioni dei Puritani, l’estremo capolavoro scritto per Parigi? Eppure il dichiarato modello belliniano di molte scene, tra cui quella centrale della pazzia di Elvira, fu la Nina, o sia la pazza per amore di Giovanni Paisiello, senza contare il romanticismo alquanto sui generis della Norma. Questo non significa che, dopo l’exploit del Pirata, Bellini si richiuda in uno sguardo all’indietro rinunciando alla conquista di un mondo di passioni che, al contrario, esplorerà Donizetti: Bellini è un romantico sotto molteplici punti di vista, ma un romantico alla maniera di Leopardi (cui tante – troppe? – volte è stato paragonato) e capirà, dopo l’exploit di questo Pirata, che non sarebbe stata la strada delle passioni esacerbate quella in grado di esprimere al meglio la sua sensibilità (lo dimostra La Straniera, peraltro opera assai affascinante, ma certamente meno riuscita). Il Pirata, per certi versi, si pone dunque come una sorta di unicum alquanto peculiare all’interno della produzione del catanese.
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