Articoli con tag cd

Giuseppe Verdi: Complete Ballet Music from the Operas

Verdi Ballet Music Cd CoverIl 2013 sarà l’anno di Giuseppe Verdi e di Richard Wagner, entrambi nati nel lontano 1813, quindi i pubblici di tutto il mondo si preparaono (psicologicamente e fisicamente) alla lunga e intensa maratona che i teatri programmeranno nel segno delle loro opere. Non solo Belcanto non sfuggirà, ovviamente, a questa regola, ma visto che la mole di sudate carte sulla mia scrivania non ha ancora raggiunto quel livello accettabile che auspicherei, inauguro l’anno verdiano del blog (no, non dimenticherò Wagner, ma essendo l’anima del blog dedicata al Primo Ottocento è inteso che Verdi sarà in primo piano) con la segnalazione di un curioso doppio cd uscito meno di un anno fa. Questo Complete Ballet Music from the Operas registrato nel 2011 dalla Bournemouth Symphony Orchestra guidata da José Serebrier e edito dalla Naxos, è un disco molto interessante non solo perché rivolto sia agli amanti d’opera che a quelli della danza, ma anche perché raduna in un’unica registrazione i vari accostamenti del compositore di Busseto alla musica per balletto, avvenuti tutti (ça va sans dire) in terra francese con l’unica esclusione dell’Aida. Oltre alle celebri danze di Macbeth, di Aida e dei vêpres siciliennes il doppio cd contiene le più rare danze della Jérusalem (rifacimento francese dei Lombardi alla prima crociata) e della versione originale di Don Carlos oltre alle vere e proprie “chicche” costituite dai balletti scritti nel 1856 per Le trouvère, adattamento francese del trovatore andato in scena all’Opéra di Parigi, e da quelle composte nel 1894 per la prima francese dell’Otello: in quest’ultimo caso si tratta dell’ultima musica di scena composta da Verdi, all’epoca ottantunenne. L’esecuzione di Serebrier è brillante e mai noiosa, contibuendo alla riuscita del disco, che si conferma un prodotto interessante e da collezione, che non può mancare nella discoteca di ogni verdiano che si rispetti.

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Maria Callas: Callas at La Scala

Callas at La ScalaIn quasi due anni di attività del blog questo è il primo post che dedico all’arte di Maria Callas. Una mancanza per certi versi imperdonabile, dettata dalla mia personale idiosincrasia nei confronti dei “vedovi” più intransigenti, quelli che ritengono la mitica greca interprete incomparabile anche dei ruoli che non ha cantato, perché se li avesse cantati allora sì che non ci sarebbe stato spazio per nessuno. Il risultato del mio confronti con alcuni di questi “vedovi” è che per qualche periodo ho messo un po’ la Callas da parte, salvo poi riscoprirla come si riscopre un amico da cui ti eri allontanato per un’incomprensione indipendente dal vostro rapporto e, dato che negli ultimi tempi è stato questo il disco che è finito più volte nel mio lettore, questo propongo come “debutto” callasiano su queste pagine. Callas at La Scala  (attualmente disponibile nel catalogo Emi solo all’interno di un poderoso cofanetto che raccoglie tutti i recital in studio della Divina) nacque come una sorta di fotografia dei ruoli che, nel 1955, il soprano aveva portato in scena nel massimo teatro milanese: Medea di Luigi Cherubini nel 1953, La Vestale di Gaspare Spontini nel 1954 e La sonnambula di Vincenzo Bellini nello stesso anno, 1955, in cui ebbero luogo le sessioni di registrazione del disco in questione. La cosa curiosa, tuttavia, è che la Callas non si reputò soddisfatta del risultato ottenuto con le due grandi arie di Amina, tanto che ne vietò la pubblicazione e la Emi, che all’epoca aveva già in catalogo due album della Callas, Puccini Arias e il mitico Lyric and Coloratura Arias, pubblicò solo le arie di Medea e Vestale nel 1958, unendole alle arie di Amina tratte dalla registrazione integrale con la direzione di Antonino Votto. Ascoltando la sua Amina pudica e dolente si resta sorpresi e quasi stupiti del divieto callasiano, dato che si tratta di un’interpretazione ovviamente notevolissima (e che, per la cronaca, venne commercializzata dalla Emi un anno dopo la sua morte, aspettando il ventennale del 1997 per ristampare il disco così come avrebbe dovuto essere concepito in origine).

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Girolamo Crescentini: Cantate e Ariette a voce sola e fortepiano

Crescentini Cantate e ArietteSono sempre stato convinto che il disco (e quindi il cd, che del disco nero è diretto erede) sia stato e sia tuttora un grandissimo veicolo culturale, nonostante i limiti del marketing, dei contratti, della creazione di divi discografici e, insomma, nonostante buona parte del mondo orbitante attorno alle grandi major dell’incisione. Major che, difatti e non a caso, sono tutte in crisi più o meno profonda, lasciando spazio (dovrei aggiungere ancora per poco, dato che la lenta agonia dei negozi di dischi non permette di credere a un futuro roseo) a etichette di minori ambizioni milionarie ma di grandissima vivacità intellettuale e culturale, come è il caso della Tactus. Molto interessante, per tutti gli appassionati di Belcanto, è una delle ultime pubblicazioni inserite da questa attivissima casa discografica nel proprio catalogo, ovvero le Cantate e ariette per voce sola e fortepiano composte dal celebre castrato Girolamo Crescentini che, essendo nato a Urbania (PU), viene inserito di diritto tra i post della Musica di Marca. Oltre ad essere stato un virtuoso di rango Crescentini fu anche un celebre didatta (tra l’altro maestro della futura signora Rossini, Isabella Colbran) e un compositore di talento, come dimostra uno dei suoi cavalli di battaglia, ovvero il Giulietta e Romeo di Zingarelli, che conobbe una duratura popolarità anche (se non soprattutto) grazie alla versione composta da Crescentini stesso dell’aria di Romeo “Ombra adorata aspetta” che, secondo la leggenda, commosse fino alle lacrime Napoleone in persona, che lo invitò a Parigi dove Crescentini risidiette dal 1806 al 1812. Per inciso Zingarelli fu abbastanza seccato che il brano più di successo della sua opera fosse un’aria… non autografa!

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Edita Gruberová: Donizetti Portraits

Donizetti PortraitsA Gaetano Donizetti Edita Gruberová ha dedicato gran parte della sua carriera ed era inevitabile che, durante le celebrazioni donizettiane del 1997/1998, proponesse un omaggio monografico a uno dei suoi compositori prediletti, tanto più che lo “imponeva” il suo ruolo di proprietaria di una casa discografica (la Nightingale) nata, in pratica, per poter incidere opere che nessun altra major avrebbe accettato di inserire in catalogo, nonostante la presenza di assoluto richiamo della diva slovacca. Nacque allora questo Donizetti Portraits, un disco impaginato con cura e attenzione nei confronti di opere minori e ingiustamente trascurate nel catalogo del compositore bergamasco come Gemma di Vergy (di cui viene integralmente proposta l’ampia scena finale della protagonista) e Caterina Cornaro, presente invece con la bella cavatina d’entrata di Caterina “Vieni o tu”. Presenti nel recital anche la cavatina d’entrata di Emilia dall’Emilia di Liverpool (“Madre, deh placati”), la celebre “Perché non ho del vento” dalla Rosmonda d’Inghilterra e l’entrata di Lucrezia dalla Lucrezia Borgia; il disco, infine, è completato da due pagine strumentali, la Sinfonia della Gemma di Vergy e quella della Linda di Chamounix. Ricordo che, quando il cd arrivò nei negozi, lessi una recensione in cui erano anche riportate dichiarazioni del soprano slovacco: la Gruberová spiegò che aveva voluto incidere arie da opere che non aveva interesse a portare in scena nella loro integralità, affidando quindi a questo recital (peraltro davvero molto bello) le uniche pagine che avrebbe eseguito dai titoli citati. C’è da dire che la Gruberová di allora, visti i modesti risultati della sua Lucrezia Borgia integrale, aveva forse più buonsenso di quella degli anni 2000 nel comprendere fin dove potesse spingere la propria vocalità.

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Joan Sutherland: The Age of Bel Canto

Che cos’è il Belcanto? A questa domanda ha provato a rispondere Richard Bonynge nel giugno 1963 registrando per la Decca un doppio LP allo Studio Decca No.3 di West Hampstead e alla Kingsway Hall di Londra. Il disco, intitolato appunto The Age of Bel Canto, era il quarto recital del soprano australiano Joan Sutherland (beniamina assoluta di chi scrive) e all’epoca definitiva stella nel repertorio lirico e di coloratura, ma costituì anche una delle prime incisioni di quella che della Sutherland sarebbe diventata inseparabile compagna in tante avventure, guarda caso, belcantiste, ovvero Marilyn Horne. Completa il terzetto degli artisti impegnati nell’ampio programma il tenore Richard Conrad, in realtà l’elemento meno interessante a causa di una voce agile ma sbiancata, tendente spesso al falsetto. Il doppio disco (ristampato dalla Decca nella serie Classic Sound, ma attualmente irreperibile in confezione singola e disponibile solamente nel monumentale cofanetto di 23 cd che raccoglie l’integrale dei recital in studio incisi dalla Sutherland) è uno degli esempi più perfetti di recital in grado di coniugare l’eccitazione per prove vocali esaltanti (nel caso di Sutherland e Horne) e una seria indagine musicologica riflessa in un programma e in una track list che non hanno perso nulla del loro fascino, pur a tanti anni di distanza. Cos’è il Belcanto per Sutherland – Horne – Bonynge? Il disco indaga la tradizione della grande opera italiana del ‘700 (La Cecchina, ossia la buona figliuola di Nicolò Piccinni, Atalantadi Georg Friedrich Händel) con i suoi molteplici lasciti: l’opera inglese dello stesso Händel e di Thomas Arne (Artaxerxes), ma anche la commedia borghese di William Shield (Rosina); la tradizione tedesco-italiana di Wolfgang Amadeus Mozart prima (Il Re pastore, Die Entführung aus dem Serail e Die Zauberflöte) e di Carl Maria von Weber poi (Der Freischütz) ma anche quella francese di Adrien Boildieu (Angéla, ou l’Atelier de Jean Cousin) e Daniel-François-Esprit Auber (La muette de Portici).

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La Potenza d’Amore [Cd Opera Rara]

Il mondo della musica vocale da camera è uno dei più affascinanti nell’ambito della produzione artistica del XIX secolo, trovando anche in Italia uno spazio tutt’altro che ristretto, soprattutto grazie ai salotti nobili, nelle cui serate di musica non era infrequente assistere a veri e propri recital densi di ariette e cantate composte per l’occasione. La casa inglese Opera Rara ha riservato un’intera serie (significativamente intitolata Il Salotto) alla produzione italiana e francese del XIX secolo, in particolare dedicando il secondo volume della serie (La Potenza d’Amore) al genere della cantata. La cantata, una forma musicale che nell’alternanza di recitativi e arie si configura come una sorta di mini-opera da camera, era un genere particolarmente apprezzato nel periodo barocco e settecentesco; il soggetto di una cantata, in genere, si legava al mondo mitologico e/o arcadico, ma non mancava l’elemento religioso (tradizione particolarmente feconda in Germania, basti pensare alla sterminata produzione di cantate composte da Johann Sebastian Bach). Nel primo Ottocento, epoca oggetto delle cantate contenute nel cd Opera Rara, il genere conobbe la sua ultima e estrema fioritura, grazie alla diffusione della musica da salotto, eseguita durante le raffinate serate di conversazione che avvenivano nei salotti di facoltose e colte padrone di casa nobili. Il cd, di impaginazione estremamente curata e ricercata come è la regola nelle produzioni della Opera Rara, propone un florilegio di cantate (alcune delle quali estremamente elaborate) in cui trovano spazio vere e proprie chicche, come La gloria al massimo degli eroi di Ferdinando Paër, scritta probabilmente nel 1810 per le nozze di Napoleone e Maria Luisa d’Austria, che prevede un accompagnamento d’arpa al posto del solito pianoforte.

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Spigolature pesaresi e Ewa Podleś: Arias for Contralto

Il primo post settembrino del blog è dedicato, anche quest’anno, a Rossini. Inevitabile, visto che il mese di agosto è caratterizzato per ogni appassionato di Belcanto dagli eventi del Rossini Opera Festival di Pesaro che, quest’anno, presentava non poche attrattive. Non ripeterò qui quanto già scritto sulle recensioni di OperaClick (Ciro in Babilonia, Matilde di Shabran, Il Signor Bruschino, Recital di Jessica Pratt, Recital di Mariella Devia) ma aggiungerò solo la soddisfazione per aver visto, finalmente, impegnata a Pesaro in un ruolo di grandi possibilità espressive e tecniche come quello di Ciro il contralto polacco Ewa Podleś, che per quanto mi riguarda è stata una delle grandi protagoniste di questa edizione 2012 del Rof, accanto all’Amira di un’altra artista che ammiro moltissimo, ovvero Jessica Pratt (il cui recital all’Auditorium Pedrotti è stato incredibile per mole dei brani cantati, qualità dell’esecuzione e fantasia nelle variazioni). Ascoltare dal vivo la voce della Podleś è un’esperienza incredibile, dato che, pur con gli inevitabili acciacchi dell’età e con un’esecuzione tutt’altro che perfetta, si tratta di un’artista maiuscola, che colpevolmente solo ora approda a Pesaro in un ruolo protagonista (non considero tale la Giunone delle Nozze di Teti, e di Peleo del 2001, benché “rinforzata” con l’omonima cantata). Debutto tardivo, ma debutto comunque splendido, come ognuno può notare ascoltando la registrazione di Rai5 che (miracolo!) ha trasmesso in leggera differita la serata inaugurale.

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Nelly Miricioiu: Bel Canto Portrait

A proposito di Belisario, e in attesa dell’allestimento del Bergamo Musica Festival, nonché della prossima registrazione integrale della Opera Rara, segnalo un interessante recital (edito sempre da Opera Rara) di una delle mie artiste preferite, la rumena Nelly Miricioiu, in cui è contenuto proprio il gran finale dell’opera eseguito nell’edizione critica di Ottavio Sbragia. L’ampia scena conclusiva del Belisario è al centro di un disco molto originale nell’impaginazione, come è la regola per la vivace etichetta inglese, e decisamente convincente nell’esecuzione. Nelly Miricioiu affronta stralci da quattro parti grandiose, pensate per tre autentiche divine dell’800, a cominciare dalla mitica Caroline Unger, soprano ungherese e tra le dive predilette da Gaetano Donizetti: per lei il musicista bergamasco compose non solo il Belisario (1836) ma anche la splendida Parisina (1833), di cui nell’album si esegue il bellissimo “Sogno” del II Atto. Per Giuditta Pasta venne invece composta l’Emma d’Antiochia di Saverio Mercadante (1834), la cui originale scena finale (che fa seguire all’aria e cabaletta della primadonna un particolare duetto femminile) è compresa nella registrazione, assieme a un’aria composta da Sir Michael Costa per la prima londinese de L’assedio di Corinto di Gioachino Rossini (1834) e destinata al virtuosismo e alla bravura della mitica Giulia Grisi.

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Montserrat Caballé: Rossini, Donizetti, Verdi Rarities

Non sono un fan sfegatato di Montserrat Caballé. So che qualcuno non mi perdonerà questa amara confessione ma, ahimé, molto spesso la favolosa “Superba” mi causa rabbia più che ammirazione. Rabbia perché una voce strepitosa e un talento da vocalista con pochi rivali venne sacrificato più del dovuto a una preparazione sciatta e a un pressappochismo musicale veramente irritante. Proprio per contrastare questa opinione (che riconosco essere un po’ ingiusta) mi sento di segnalare uno dei miei dischi preferiti registrati dalla Caballé, un album dove l’artista è veramente superba e spiega tutte le possibilità di una voce che sembra quasi onnipotente: sto parlando del recentemente ristampato doppio cd che raduna i tre lp di rarità dedicati dalla catalana, tra il 1967 e il 1969, a pagine di raro ascolto (per l’epoca) di Gioachino Rossini, Gaetano Donizetti e Giuseppe Verdi. In questi recital (realizzati dopo il trionfo ottenuto nella donizettiana Lucrezia Borgia alla Carnegie Hall, con relativa incisione discografica per la Rca) c’è la misura della grandezza immensa di Montserrat Caballé, colta non solo in forma strepitosa, ma anche al di qua della fame onnivora di repertorio che la porterà a esplorare opere non sempre adatte alla sua personalità. Dimenticare gli eccessi delle infelici Gioconde e Medee degli anni ’70: nulla di tutto questo è presente nel doppio cd in questione, in cui la Caballé unisce a una forma vocale strepitosa anche una coscienza d’interprete e d’artista in grado di sopportare ben pochi confronti. L’esecuzione integrale di ampi stralci da opere dei tre autori sopracitati (manca solamente il da capo della cabaletta di Alzira) si giova infatti della strepitosa qualità timbrica dell’artista, innervata da un fraseggio e da una personalità di primo ordine, nel consegnare al disco tre tra i più entusiasmanti recital della storia della vocalità.

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Il flauto di Mercadante

Se confrontata a quella dell’opera lirica la produzione di musica strumentale e/o da camera nel XIX secolo italiano appare, francamente, davvero scarsa. Una luminosa eccezione è rappresentata, però, da Saverio Mercadante , musicista a cui il blog ha già dedicato alcuni post pochi giorni fa. Mi sembrava giusto, per chiudere questa sorta di “trittico mercadantiano” primaverile, dedicare anche un piccolo spazio (poco più di una segnalazione) alla produzione concertistica del musicista di Altamura e, in particolare, ai suoi Concerti per flauto e orchestra. A differenza della produzione strumentale e/o cameristica di operisti suoi contemporanei (penso a Donizetti e ai suoi quartetti per archi), che non ha incontrato il favore di buona parte degli esecutori più celebri e famosi, i flautisti hanno dimostrato sempre un discreto attaccamento alla produzione di Mercadante, peraltro flautista egli stesso e, dunque, perfettamente consapevole delle potenzialità di questo strumento. In generale la scrittura mercadantiana sembra evocare le atmosfere di Mozart e Hummell tipiche del primo ‘800, mescolate in maniera affascinante a una cantabilità tutta italiana e mediterranea, specchio di quella scuola napoletana di cui il compositore di Altamura faceva indubbiamente parte.

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