Articoli con tag Foto di Lucia T. Sepúlveda

Gothic Tales – 1 – Camilla, o Il sotterraneo di Ferdinando Paër

Alla fine del 1700 si iniziò a diffondere l’opera semiseria, un genere ibrido e affascinante (ne avevamo già parlato, peraltro) mutuato dall’opéra-comique, di cui fu, praticamente, l’adattamento in italiano. L’opéra-comique era un genere che, oltre a presentare personaggi “naturali” e quotidiani come protagonisti (a differenza della tragédie lyrique) rifletteva anche il gusto di fine ‘700 nei confronti del sentimentalismo, inteso come educazione alle emozioni più nobili, nonché l’attenzione verso le emergenti e sempre più popolari atmosfere gotiche. Nel momento in cui si dovevano adattare le caratteristiche dell’opéra-comique al teatro lirico italiano esse vennero destinate all’opera semiseria per l’impossibilità di trovare terreno fertile nel genere tragico (incompatibile con la presenza di personaggi buffi e/o popolareggianti) o buffo (che vedeva di mal grado le aperture vistose al sentimentalismo, alla drammaticità e alla serietà di molte trame). Un esempio perfetto di opéra-comique dal clima goticheggiante con protagonisti scelti dalla vita quotidiana è in Camille, ou Le Soutterrain (Parigi, 1791) di Nicolas Dalayrac (lo stesso autore della Nina del 1786, da cui Paisiello trarrà nel 1798 la sua Nina, o sia la pazza per amore), un soggetto che è alla base di Camilla, ossia Il sotterraneo di Ferdinando Paër, che debuttò al Kärntnertortheater di Vienna il 23 febbraio 1799 su libretto di Giuseppe Antonio Carpani.

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Un nuovo ciclo di opere è in preparazione e arriva con il nuovo anno (nonché con il cambio della stagione): viste le atmosfere invernali di questo periodo i prossimi quattro titoli (ovviamente tutti appartenenti alla letteratura musicale italiana dell’800) consisteranno in altrettanti “racconti gotici” o, meglio, in opere che, pur rinunciando alla tematica del soprannaturale horror (mai stata popolarissima nel melodramma italiano), presentano elementi caratteristici della grande stagione del romanzo gotico, come storie collocate nel Medioevo assieme ad ambientazioni lugubri e suggestive quali castelli diroccati, sotterranei ed altri luoghi cupi, in cui spesso potremmo trovare fragili figure femminili ingiustamente perseguitate ma anche ardite e sanguinarie erinni bramose di vendetta. Arrivano i Gothic Tales, tutti accompagnati dalle foto della bravissima Lucia T Sepúlveda.

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Mathilde von Guise di Johann Nepomuk Hummel

Johann Nepomuk Hummel è uno di quei compositori condannati dalla sorte a scontare con l’oblio dei posteri l’estrema popolarità di cui godettero durante la loro carriera. Nel caso di Hummel, nato a Pressburg (attuale Bratislava, nota anche con i nomi di Pozsony e Prešporok) nel 1778, si parla peraltro di uno dei più celebrati e ammirati virtuosi della sua epoca per quanto riguarda il pianoforte, uno strumento a cui riservò anche alcune delle sue composizioni più celebri. Oltre a esplorare le possibilità del pianoforte Hummel si occuperà anche di musica sacra, musica da camera e, ovviamente, opera lirica, benché i melomani non conoscano affatto, nella maggior parte dei casi, il suo nome. Questa lacuna viene colmata dalla Brilliant Classics, che ha iniziato una sistematica esplorazione della musica del compositore slovacco assieme all’ensemble di strumenti originali Solamente Naturali guidato da Didier Talpan, con cui la vivace casa discografica ha consegnato alle stampe un disco di musica da camera con i due settimini per archi e fiati op.74 e op.114 “Militare”, un cd interamente dedicato alla musica sacra composta per la corte della famiglia dei Conti di Esterházy (in cui Hummel restò in servizio per sette anni dopo aver preso il posto che fu di Haydn) nonché l’opera lirica Mathilde von Guise, inserita all’interno della ricca e fortunata serie Brilliant Opera Collection. A Hummel mancò il genio di Beethoven (di cui fu amico e contemporaneo), di Schubert (di cui può dirsi anticipatore in alcune composizioni, come il settiminio op.74) nonché di Mozart (di cui fu peraltro allievo) ma, non per questo, la sua musica merita l’oblio in cui è caduta, a cominciare proprio dalla Mathilde, che trova spazio anche nell’ambito del Mese Mozartiano di NSB (l’avevo detto che sarebbe stato un mese mozartiano sui generis).

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Il convitato di pietra di Giovanni Pacini

Elvio Giudici, nella recente riedizione del suo poderoso L’Opera in CD e Video, da un giudizio abbastanza impietoso su Giovanni Pacini:

Nel volgersi sempre e comunque al successo popolare, il suo camaleontico manierismo formale ne fece dapprima l’emulo del grande Neoclassicismo alla Cherubini e Spontini; poi fece il verso al Rossini napoletano […]; infine fu tra i primi a rendersi conto di quanto stesse succedendo e sopratutto stesse preparandosi a Parigi col successo decretato a Meyerbeer […]. Il tutto, lui lo semplificava all’osso e quindi lo rendeva accessibile anche nella nostra provincia tramite una melodia facile facile, sempre in bilico sui crinali strettissimi posti a separare involo trascinante dal tricchetracche; tramite un ampio declamato tragico di retorica la più vieta e bombastica; e tramite, infine, un’architettura complessiva che in apparenza persegue la grande forma ma che in realtà allinea una dopo l’altra alcune “situazioni” archetipe, nelle quali la drammaturgia si frantuma in una serie di microdrammi ciascuno in sé concluso. Un Vanzina della musica, insomma, il Pacini Giovanni detto “maestro delle cabalette”.

C’è indubbiamente del vero in queste affermazioni: Pacini fu un compositore non sempre originale e che appare, oggi, sicuramente invecchiato, ma nonostante tutto qualche gemma, all’interno del suo monumentale catalogo, non manca di suscitare ammirazione, come è il caso del Convitato di Pietra, una deliziosa e originale operina da camera (con brani musicali alternati a dialoghi parlati) che, vista l’ispirazione tratta dal mozartiano Don Giovanni, ci sta bene all’interno di questo “mese mozartiano” (che prosegue un po’ a singhiozzo) di Non solo Belcanto.

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Rosa dei Venti – 4 – Il Corsaro di Giuseppe Verdi

Una serie di opere unite da un comune denominatore: la presenza del mare, come via di fuga, ma anche come espressione dell’anelito all’infinito che è tratto caratterizzante di buona parte della poetica romantica. Eroi maledetti, pirati e corsari ma anche terre lontane ed esotiche sono al centro delle quattro opere di cui si compone il ciclo Rosa dei Venti. Clicca sul banner qui sopra o nella colonna per leggere tutti gli articoli del ciclo.

Rispetto all’omonima opera di Pacini Il Corsaro di Giuseppe Verdi ha avuto un destino lievemente più fortunato: anche in questo caso il debutto è stato caraterizzato da un esito francamente deludente, ma la popolarità dell’autore ha fatto sì che, a partire dal secondo dopoguerra, la storia di Corrado, Medora e Gulnara potesse essere ripresa in molti palcoscenici, fino a raggiungere una discreta popolarità, almeno per quel che riguarda alcuni brani (come la romanza di Medora “Non so le tetre immagini”). Vero è che all’interno della bistrattata produzione degli anni di galera Il Corsaro ha sempre fatto la parte della cenerentola ricoperta di cenere, escluso anche dalle imponenti celebrazioni del 1951 che portarono alla registrazione della quasi totalità delle opere verdiane. Sull’opera ha pesato molto il giudizio estremamente negativo datone da Verdi stesso, oltre che il fiasco della prima, avvenuta a Trieste (e non venne seguita dal compositore in loco) con la conseguente limitata diffusione del lavoro nel corso del XIX secolo: Marcello Conati individua una ventina di produzioni dal debutto al Teatro Grande del 1848 alle recite del 1864 al S. João di Oporto, dopo le quali bisognerà attendere le recite in forma di concerto nel cortile del Palazzo Ducale di Venezia del 1963 (con Virginia Denotaristefani, Maria Battinelli, Aldo Bottion e Silvano Carroli diretti da Piotr Wollny), quelle del 1966 a St. Pancras di Londra con Pauline Tinsley e, soprattutto, l’allestimento veneziano del 1971 segnalato anche nella rubrica discografica a fine post.

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Rosa dei Venti – 3 – Il furioso all’isola di San Domingo di Gaetano Donizetti

Una serie di opere unite da un comune denominatore: la presenza del mare, come via di fuga, ma anche come espressione dell’anelito all’infinito che è tratto caratterizzante di buona parte della poetica romantica. Eroi maledetti, pirati e corsari ma anche terre lontane ed esotiche sono al centro delle quattro opere di cui si compone il ciclo Rosa dei Venti. Clicca sul banner qui sopra o nella colonna per leggere tutti gli articoli del ciclo.

L’opera semiseria è un genere strano e affascinante: “disorientante” la definì Jeremy Commons e, in effetti, non si può che rimanere spesso disorientati dalla strana disinvoltura con cui, in melodrammi come Linda di Chamounix di Donizetti o La gazza ladra di Rossini (sicuramente tra le opere semiserie più celebri) elementi seri e drammatici convivano tranquillamente accanto a spunti comici e brillanti. Derivata dal genere francese dell’opéra-comique, l’opera semiseria italiana rappresentò sotto molti punti di vista l’attenzione e l’interesse nei confronti di una rappresentazione improntata a maggiore realismo nei personaggi (spesso umili e/o comunque non nobili) e nei sentimenti, sviluppando quello stile, appunto, “sentimentale”, ma a lieto fine, che portò ad esempio al successo un’opera come la Nina, o sia la pazza per amore di Paisiello. L’opera seria, infatti, non poteva accogliere la natura realistica e quotidiana di personaggi che apparivano decisamente lontani dagli eroi tragici e aulici di cui si nutriva: l’obiettivo, ambizioso, dell’opera semiseria era dunque quello di rappresentare una sorta di via mediana tra l’opera seria e l’opera buffa, cercando di suscitare emozione e commozione nel pubblico educandolo, al tempo stesso, ai sentimenti più puri e nobili. Per queste ragioni al centro delle opere semiserie c’erano spesso donne sedotte e abbandonate (ma destinate a un lieto fine riparatore) e, quando si toccavano alcuni problemi sociali potenzialmente scottanti, vi era sempre l’attenzione a che questi servissero a scuotere le emozioni del pubblico in vicende ad alto tasso di moralismo: decisamente improbabile l’immagine di librettisti e compositori talmente attenti alla lotta di classe da comporre opere di denuncia.

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Rosa dei Venti – 2 – Il Corsaro di Giovanni Pacini (e Lord Byron)

Una serie di opere unite da un comune denominatore: la presenza del mare, come via di fuga, ma anche come espressione dell’anelito all’infinito che è tratto caratterizzante di buona parte della poetica romantica. Eroi maledetti, pirati e corsari ma anche terre lontane ed esotiche sono al centro delle quattro opere di cui si compone il ciclo Rosa dei Venti. Clicca sul banner qui sopra o nella colonna per leggere tutti gli articoli del ciclo.

Negli anni che andarono dalla fine del XVIII secolo all’inizio del XIX si diffuse, in tutta Europa, un movimento filoellenista che, partendo da basi culturali (gli scritti artistici di Johann Joachim Winckelmann, ad esempio) assunse una forma sempre più chiara di simbolica rivendicazione politica: la Grecia, culla del sapere e della civiltà, doveva essere liberata dal giogo dell’Impero Ottomano e riacquisire una sua indipendenza, cosa che effettivamente avvenne nel 1832, quando la Convenzione di Londra riconobbe l’autonomia dello stato greco dopo una decennale Guerra d’Indipendenza durata dal 1821 al 1829 e vinta grazie al fondamentale aiuto economico e militare delle grandi potenze europee. Furono, quelli, anni di fervente filoellenismo, tanto nella produzione artistica che nella vita di intellettuali e scrittori, molti dei quali cercarono (e, in molti casi, trovarono) la morte proprio combattendo a fianco dei patrioti greci nella lotta di liberazione della loro terra. Il più famoso di loro è forse Lord Byron che, con il suo romanzo in distici decasillibi The Corsair (1814), aveva già fornito alla causa greca un importante contributo ideologico, narrando le vicende di un pirata in lotta contro la dominazione musulmana.

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Rosa dei Venti – 1 – Il Pirata di Vincenzo Bellini

Una serie di opere unite da un comune denominatore: la presenza del mare, come via di fuga, ma anche come espressione dell’anelito all’infinito che è tratto caratterizzante di buona parte della poetica romantica. Eroi maledetti, pirati e corsari ma anche terre lontane ed esotiche sono al centro delle quattro opere di cui si compone il ciclo Rosa dei Venti. Clicca sul banner qui sopra o nella colonna per leggere tutti gli articoli del ciclo.

Non sono, in fondo, molte le opere che, al pari del belliniano Pirata, possono vantare lo status di testo mitico così come di prima opera, sotto molti aspetti, autenticamente romantica nella letteratura musicale italiana e, al tempo stesso, melodramma in grado di creare un vero e proprio archetipo, quello dell’ eroe-tenore bello di sventura e destinato, ovviamente, a fine tragica. Non che il soprano, ovviamente del tenore amante, abbia una fine migliore, dato che le spetta una lunga e composita scena di pazzia che si rivela come la prima di una lunga serie di follie romantiche che attraverseranno tutto il XIX secolo. Il destino tragico di Imogene e di Gualtiero (questi i nomi dei protagonisti del Pirata) si esprime in un’opera e in un’atmosfera che, sotto molti punti di vista, lo stesso Bellini non ricercherà più: come negare il clima romantico dei Capuleti ed i Montecchi? Eppure la presenza di un contralto “en travesti” nei panni dell’eroe amoroso obbedisce a canoni diversi da quelli del realismo dei sentimenti tipico dell’idea romantica. Come negare le suggestioni dei Puritani, l’estremo capolavoro scritto per Parigi? Eppure il dichiarato modello belliniano di molte scene, tra cui quella centrale della pazzia di Elvira, fu la Nina, o sia la pazza per amore di Giovanni Paisiello, senza contare il romanticismo alquanto sui generis della Norma. Questo non significa che, dopo l’exploit del Pirata, Bellini si richiuda in uno sguardo all’indietro rinunciando alla conquista di un mondo di passioni che, al contrario, esplorerà Donizetti: Bellini è un romantico sotto molteplici punti di vista, ma un romantico alla maniera di Leopardi (cui tante – troppe? – volte è stato paragonato) e capirà, dopo l’exploit di questo Pirata, che non sarebbe stata la strada delle passioni esacerbate quella in grado di esprimere al meglio la sua sensibilità (lo dimostra La Straniera, peraltro opera assai affascinante, ma certamente meno riuscita). Il Pirata, per certi versi, si pone dunque come una sorta di unicum alquanto peculiare all’interno della produzione del catanese.

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Poco più di quattro

Dopo poco più di quattro mesi di vita provo a tracciare un bilancio dell’attività di Non solo Belcanto da marzo ad oggi, un bilancio che, per quanto mi riguarda, è assolutamente positivo. Ho deciso di aprire questo blog ponendomi come obiettivo quello di gestirlo in maniera quanto più “impersonale” possibile, il che significa evitare di intasare il web di post su quello che mangio, quello che faccio, quello che provo, perché sono depresso o perché sono malinconico: la scelta è stata quella di gestire uno spazio in cui potessero essere pubblicati articoli e/o approfondimenti dedicati a quello che mi piace (l’opera lirica italiana del XIX secolo) che potevano faticare a trovare spazio in altre testate a cui felicemente collaboro. Non che io abbia qualcosa contro i blog gestiti in maniera personale: il mio primo blog (Avanguardia Lirica, attualmente chiuso) era nato così, a metà tra un diario “privato” (per quanto possa dirsi privato il mondo del web) e una raccolta di impressioni “liriche”. Il problema è che un’impostazione di questo tipo, sospesa tra post personali e altri più “ufficiali”, non mi soddisfaceva più, dato che la trovavo limitante e, in una parola, banale (sia chiaro, sono io a non riconoscermi in questa tipologia di blog, altri ci si ritrovano benissimo e gestiscono dei blog splendidi). Detto questo aggiungo anche non sono nemmeno così ingenuo da pensare che non passi nulla di me dagli articoli pubblicati finora su Non solo Belcanto, anche se forse quello che emerge dai post di NSB è qualcosa di diverso (magari fin troppo simile a una maschera pirandelliana). Avevo, in ogni caso, preso la decisione di archiviare definitivamente Avanguardia Lirica per ricominciare da zero, ho riaperto un nuovo blog e mi sono ritrovato a superare abbondantemente le 1.400 visite con oltre 4.500 navigazioni interne in poco più di quattro mesi, il che, per essere questo un blog che si occupa di argomenti di nicchia (piaccia o no alla maschera pirandelliana), mi pare un risultato da non trascurare affatto e che, non lo nascondo, mi fa molto piacere. Anche l’idea di dedicare un ciclo a tema sulle opere del Risorgimento mi pare abbia sortito una buona riuscita, tanto che non escludo la possibilità di cimentarmi in altri cicli “tematici”, visto che di opere da ascoltare ce ne sono veramente tante. Sono anche contento della collaborazione fotografica che si è creata con la bravissima Lucia T. Sepulveda (vedi foto a destra, tratta dal ciclo di foto destinate al post su Tutti in Maschera di Carlo Pedrotti, che ha segnato l’inizio della nostra collaborazione) e posso solo augurarmi che continui in futuro con altri servizi dedicati ad altre opere.

Insomma, questa sbrodolata solo per ringraziare chiunque sia passato di qui e si sia fermato per leggere qualche riga, augurandomi che possa ritornare su queste pagine per condividere impressioni, passioni e amore per la lirica.

Ops, mi sa che questo può essere considerato come un post personale… (e vabbé, uno ogni tanto… succede…)

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Risorgimento – 4: La Battaglia di Legnano di Giuseppe Verdi

L’omaggio di Non solo Belcanto al 150° dell’Unità d’Italia avviene con l’approccio a quattro melodrammi “inusualmente” risorgimentali (Clicca sull’immagine a lato o sul banner nella colonna di destra per leggere gli altri articoli del ciclo).

Il fatto

Una delle pagine più gloriose del Risorgimento fu la creazione della Repubblica Romana, ufficialmente proclamata dopo le elezioni a suffragio universale tenute nel gennaio del 1849 e seguita alla fuga di Pio IX da Roma dopo l’uccisione in un attentato del primo ministro pontificio Pellegrino Rossi. Rifugiatosi il papa a Gaeta, presso i Borboni, la capitale rimase senza governo e si insediarono i gruppi democratici: in questo clima esaltato e vivace debuttò al Teatro Argentina il 27 gennaio La Battaglia di Legnano di Giuseppe Verdi, accolta da un fanatico entusiasmo che si concluse con il bis finale dell’intero IV Atto, significativamente intitolato “Morire per la patria!”. Il 9 febbraio l’Assemblea Costituente eletta proclamò la decadenza del potere temporale del papa e la nascita del nuovo stato, repubblica parlamentare, con il “glorioso nome di Repubblica Romana”; la forma di governo sarebbe stata la “democrazia pura” secondo basi democratiche e non dinastiche e i poteri effettivi sarebbero stati in mano di un triumvirato formato da Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi e Carlo Armellini. L’evento fu clamoroso ed ebbe ripercussioni anche in Toscana e in Piemonte ma, purtroppo, era destinato a fallire: divenuta il centro principale della rivoluzione democratica (nonché rifugio di esuli provenienti dall’intera penisola) la Repubblica Romana tentò di portare avanti con grande forza riforme tese alla laicizzazione dello stato e al rinnovamento sociale e politico, tra cui la confisca dei beni del clero e una riforma agraria, ma le ripercussioni furono inevitabili. Da Gaeta Pio IX aveva fatto appello a tutte le potenze cattoliche per essere ristabilito nei suoi territori e alla chiamata risposero non solo Austria, Spagna nonché, ovviamente, il Regno di Napoli ma anche la Francia del presidente Bonaparte, desideroso sia di prevenire un intervento austriaco che di guadagnarsi il favore cattolico. 35.000 soldati francesi vennero inviati nel Lazio e, nonostante la coraggiosa resistenza nella difesa di Roma (in cui emersero le qualità politiche di Mazzini e quelle militari di Garibaldi) la sconfitta fu inevitabile. La resa avvenne il 4 luglio.

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