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Quaresima – 3: Il diluvio universale di Gaetano Donizetti

Poco più di dieci anni dopo il Mosè in Egitto la tradizione napoletana di opere quaresimale era agli sgoccioli: con Gaetano Donizetti e con il suo diluvio universale (Teatro San Carlo, 6 marzo 1830) terminò l’anomalia (che potremmo definire tipicamente italiana) che vedeva inserita in cartellone una normale stagione lirica mascherata da stagione di Quaresima con opere che, in teoria, affrontavano soggetti veterotestamentari adatti per la meditazione pasquale ma che, in realtà, obbedivano alle esigenze spettacolari e alla voglia di teatro che era presente nel pubblico dell’epoca. Riuscire a “dividere il genere di musica profano dal sacro” (parole dell’autore) era molto sentito da Gaetano Donizetti che, proprio con questo oratorio, cercava di ottenere quel successo e quell’affermazione nel genere serio di cui sentiva un forte bisogno, dato che i suoi trionfi fino a quel momento avevano riguardato quasi esclusivamente opere buffe o farse. Rispetto all’Atalia di Mayr Il diluvio universale guarda in maniera decisamente esplicita al modello fornito dal Mosè rossiniano, presentando una figura di profeta autorevole e carismatica (Noè) accanto a una trama privata e amorosa (in questo caso un vero e proprio triangolo tra lui, lei e l’altra, per l’occasione anche intrigante falsa amica della protagonista) e alla previsione di uno spettacolare effetto scenico con l’immagine finale dell’oratorio, secondo cui “mentre le acque cadono dai cieli, sgorgano dai monti, si sollevano dalla terra e le famiglie degli uomini rimangono tutte sommerse, si vede solamente l’arca che galleggia illesa”. Come nel Mosè in Egitto il soggetto è mediato dai testi biblici (in questo caso la Genesi) tramite una serie di tragedie e opere teatrali, tra cui Il diluvio universale dello stesso Francesco Ringhieri già autore dell’Osiride da cui Andrea Leone Tottola aveva tratto il libretto del Mosè in Egitto ma, in Donizetti, manca una reale contrapposizione di popoli tra i seguaci di Cadmo e quelli di Noè. Il coro, infatti, è sempre presentato nei panni degli abitanti della perversa città di Sennààr, ora Satrapi con le rispettive mogli, ora seguaci di Cadmo, ma anche Sacerdoti d’Europa, Cofti d’Africa e Bracmani dell’Atlantide; il “gruppo” di Noè è invece composto dai soli tre figli (Jafet, Sem e Cam) con le rispettive mogli (Tesbite, Asfene e Abra), il che permette a Donizetti la creazione, nelle tradizionali pagine a sfondo religioso – visionario, di suggestivi effetti intimisti in quella che può essere considerata come una delle sue più interessanti opere del periodo giovanile o, meglio, del periodo pre-Bolena.

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