Archivio per la categoria Libri

Calendario «santoliniano»

Dionilla Santolini «diva inattuale» CopertinaDa venerdì scorso, 28 giugno, è disponibile, nella serie I Personaggi della Musica della Zecchini Editore, una mia pubblicazione: Dionilla Santolini diva «inattuale». Non starò a ripetere quanto già detto in altre occasioni e in altri post del blog (ad esempio questo): brevemente preannuncio solo che il volume contiene la biografia di questa particolare primadonna ottocentesca, nata a Macerata esattamente duecento anni fa, la cui figura è riemersa lo scorso anno grazie alla mostra Violetta, Carmen, Mimì – Percorsi al femminile dallo Sferisterio ai musei civici di Macerata, allestita nell’ambito del Macerata Opera Festival 2012 a cura di Francesca Coltrinari. Di seguito voglio segnalare i vari eventi “santoliniani” inseriti nel cartellone 2014 del Macerata Opera Festival con la direzione artistica di Francesco Micheli:

  • 13 luglio 2013Bottega del Libro (C.so della Repubblica, 9, Macerata) – Incontro con l’Autore. La Professoressa Paola Magnarelli presenterà il volume e insieme parleremo della figura affascinante di questa curiosa primadonna. All’Incontro interverrà anche Francesco Micheli.
  • 7 agosto 2013 – Doppio appuntamento nell’ambito del Mercoledì Mania del Festival Off. Alle 19.30 un preconcerto al Caffé Venanzetti di Macerata (Galleria Scipione) intitolato Il segreto per esser felici – Un brindisi con Dionilla Santolini e alle 21, al Teatro Lauro Rossi, il recital Dionilla Santolini diva “inattuale” – Alla scoperta di una primadonna maceratese con il mezzosoprano Enkelejda Shkosa e il pianista Giulio Zappa. Il concerto ripercorrerà la carriera della Santolini attraverso un florilegio di splendide arie di Rossini, Bellini, Donizetti, Mercadante, Pacini e Verdi tratte dal repertorio della cantante, idealmente incarnata durante la serata da Enkelejda Shkosa, che voglio ringraziare (al pari di Giulio Zappa) per la disponibilità a eseguire arie molto raffinate e particolari, sicuramente tutt’altro che “di repertorio”.

Non fa parte delle iniziative legate alla Santolini, ma voglio comunque segnalare un appuntamento cui tengo particolarmente: il 24 luglio 2013 alle 18.30 sarò protagonista di un incontro presso la Biblioteca Mozzi Borgetti (Sala Castiglioni, Piazza Vittorio Veneto) intitolato Eroi sospesi, Trovatore, Nabucco e Sogni. L’evento è programmato nell’ambito della mostra Sospensioni. Percorsi d’arte in Biblioteca a cura di Ludovico Pratesi e David Miliozzi; la mostra si inaugurerà il prossimo 14 luglio (ore 18.30) ed è inserita all’interno del Macerata Opera Festival 2013. Clicca qui per il cartellone completo del Macerata Opera Festival 2013.

E si, sono consapevole che il blog sta andando a mezzo servizio da qualche mese, ma la ripartenza è vicina 🙂

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Dionilla Santolini diva «inattuale»

Dionilla Santolini «diva inattuale» CopertinaCon un po’ di emozione annuncio che il 28 giugno sarà disponibile, nella serie I Personaggi della Musica della Zecchini Editore, una mia fatica: Dionilla Santolini diva «inattuale». Si tratta della biografia di questa particolare primadonna ottocentesca, nata a Macerata esattamente duecento anni fa nel 1813, che attraversò con la sua carriera trentennale alcuni tra gli anni più affascinanti della storia dell’opera italiana del XIX secolo. La figura di Dionilla è riemersa a Macerata lo scorso anno grazie alla mostra Violetta, Carmen, Mimì – Percorsi al femminile dallo Sferisterio ai musei civici di Macerata, allestita nell’ambito del Macerata Opera Festival 2012 a cura di Francesca Coltrinariche desidero ringraziare, assieme all’assessore Federica Curzi del Comune di Macerata e alla Casa Editrice Zecchini, che ha fortemente creduto nel progetto in questione. La pubblicazione è stata realizzata grazie al preziosissimo contributo del Comune di Macerata, di Foto Emmegi, dell’Orchestra Filarmonica Marchigiana e del Sistema Museale della Provincia di Macerata: senza di loro, molto semplicemente, questo libro non avrebbe mai visto la luce. Segnalo anche la presenza, nel cartellone 2014 del Macerata Opera Festival con la direzione artistica di Francesco Micheli (che ringrazio per l’attenzione e l’entusiasmo con cui ha accolto l’idea) di una serata dedicata a Dionilla, che si terrà il 7 agosto al Teatro Lauro Rossi, nell’ambito del Festival Off. Molte persone mi hanno aiutato nella stesura di questo volume: a tutte loro va il mio ringraziamento. Da parte mia posso dire di essermi divertito e appassionato molto nel corso delle ricerche sulla vita di questa diva e mi auguro che la figura e la carriera di Dionilla Santolini, dimenticata primadonna contralto del teatro musicale ottocentesco, possa divertire, incuriosire e affascinare anche i lettori. Nella pagina della Zecchini dedicata al volume c’è la possibilità di scaricarne un breve estratto. Il testo può essere ordinato on line dal sito della Zecchini e, a breve, sarà disponibile anche nei maggiori siti di vendita on line oltre che nelle migliori librerie.

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Elvio Giudici: Il Teatro di Verdi in scena e in DVD

Giudici CoverIl difetto principale di questo libro è che è stato scritto troppo presto: al viaggio di Elvio Giudici nell’universo della videografia verdiana mancano all’appello tutte le edizioni che faranno bella mostra di sé nei negozi di dischi in questo 2013, tra cui (serie per cui si poteva forse fare un’eccezione) quelle dell’ambizioso (e parzialmente riuscito, ma ci ritornerò) progetto TuttoVerdi della CMajor: considerando che Il Teatro di Verdi in scena e in dvd edito a fine 2012 nel catalogo di editoria musicale de Il Saggiatore non affronta solo ed esclusivamente gli spettacoli disponibili in dvd, ma parla anche di allestimenti storici e/o, comunque, significativi, credo si potesse trovare spazio (ma è solo un esempio) almeno per la Giovanna D’Arco con la bellissima regia di Gabriele Lavia (Verdi Festival 2008); i Vespri Siciliani torinesi del 2011, con regia di Davide Livermore (di cui parlai a suo tempo qui) e annunciati in uscita per la Arthaus, sono invece contemplati nell’elenco delle edizioni prese in esame. Probabilmente, oltre alla fretta con cui il progetto TuttoVerdi è andato in porto e che ha reso forse difficili le comunicazioni sulla sua effettiva realizzazione, c’è stata anche l’urgenza di tempi di pubblicazione abbastanza stretti, evidentemente alla base di alcuni refusi (come quando si legge che il palcoscenico dello Sferisterio di Macerata è lungo 200 metri quando, in realtà, è circa la metà). Sgombrato il campo dai difetti resta, tuttavia, moltissimo, soprattutto per gli appassionati di teatro in musica: le regie più significative delle opere di Verdi sono sviscerate con grande competenza e con la fluidità di scrittura che è tipica di Giudici, che riesce a offrire una panoramica interessante e decisamente esaustiva della “rivoluzione” operata dall’ingresso nel mondo del teatro in musica del concetto stesso di regia d’opera. Una parte del volume proviene dal celeberrimo L’opera in CD e video, di cui mantiene impostazioni e critiche (a volte smussandole e ammorbidendole rispetto all’originale, come è il caso della regia di Luca Ronconi per l’Ernani milanese del 1982) ma è soprattutto il materiale nuovo a risultare particolarmente interessante, in particolare quando, col piglio del narratore, Giudici letteralmente “racconta” spettacoli di cui, in Italia, si è sentito solo parlare e per giunta alla lontana (vedi Un ballo in maschera con la regia di Calixto Bieito).

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Emilio Sala: Il valzer delle camelie

Il valzer delle camelieTra le varie pubblicazioni verdiane che, negli anni, hanno arricchito gli scaffali dei negozi un posto d’onore merita Il valzer delle camelie – Echi di Parigi nella Traviata di Emilio Sala, pubblicato nel 2008 dalla Edt Musica all’interno della sua collana Improvvisi. Il libro di Sala si propone di contribuire a sfatare il mito di un Verdi ruspante e popolareggiante, il famoso Verdi dall’alito con “un sano odor di cipolla” come amava ricordare Bruno Barilli nel sottolineare la natura contadina del compositore. Verdi stesso, del resto, amava essere considerato un contadino, ed è bene ricordare e ribadire quanto lui stesso abbia contribuito alla stesura di questa sua immagine agiografica e mitica. Una leggenda, comunque, dato che Verdi è ovviamente molto di più: Verdi è un autore che non ha melodrammatizzato gli italiani (che ci piaccia o no siamo già abbastanza melodrammatici di nostro) ma è stato tra i più raffinati interpreti di un’epoca complicata e convulsa, attento alle sollecitazioni più raffinate del teatro europeo. Un indagine di questo ampio aspetto di Verdi è presente nel libro di Sala, che si configura come un affascinante viaggio nell’universo culturale, musicale e teatrale della Parigi ottocentesca, alla ricerca di quanto possa aver ispirato il compositore nella creazione di una delle sue eroine più popolari e commoventi. L’indagine (dalla Bibliografia imponente) è comunque articolata in una scrittura snella e avvincente, affrontando prima il problema del mélodrame e del teatro di boulevard, proseguendo quindi con un viaggio tra i valzer e le polke dell’epoca per terminare con un’indagine delle vere e proprie reminiscenze musicali presenti nell’opera. Non mancano nemmeno, ovviamente, riferimenti precisi e presenti a Marguerite Gautier e alla “vera” Violetta, quella Marie Duplessis che con la sua storia avrebbe segnato in maniera così indelebile la cultura europea del tempo.

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Dizionario belliniano di Eduardo Rescigno

Il 3 novembre 1801 nasceva, a Catania, Vincenzo Bellini e un buon modo per ricordarlo è segnalare un bellissimo libro, edito da L’Epos, che, a cura di Eduardo Rescigno, propone un’analisi approfondita e appassionante della vita e delle opere del maestro catanese sotto forma di un agile dizionario. Questo Dizionario belliniano, oltre ad essere un oggetto molto bello e un libro prezioso, è l’ultimo di una serie di opere similari che Rescigno ha dedicato anche a Rossini, Verdi e Puccini; l’impostazione del volume, diviso in voci che comprendono tutte (ma proprio tutte) le opere del grande autore catanese, consente una consultazione agile e immediata all’appassionato come allo studioso. Compilare un dizionario “belliniano” significa gettare uno spaccato su un intero mondo (quello della produzione operistica dei primi trent’anni del XIX secolo) che emerge dalle oltre 500 pagine del libro con eccezionale vivezza e con estrema attenzione alle ultime acquisizioni musicologiche. Il volume si apre con un’utile Cronologia della breve vita belliniana, seguita dall’albero genealogico della famiglia Bellini e della famiglia Ferlito (Agata Ferlito fu la madre di Vincenzo) e, quindi, dal dizionario vero e proprio che costituisce la parte più ampia del libro, nel quale l’appassionato troverà anche il testo di tutte le arie da camera belliniane, a ognuna delle quali viene dedicato un lemma: non mancano nemmeno le voci dedicate ai grandi artisti che crearono le opere belliniane (come Giuditta Pasta, Giovan Battista Rubini, Antonio Tamburini, Henriette Méric-Lalande e Giulia Grisi) così come a quelli che resero celebre la musica di Bellini, come è il caso della mitica Maria Malibran. Sono presenti all’appello anche i colleghi compositori con cui Bellini si trovò a operare nell’agone operistico del suo tempo. I punti più imbarazzanti o, molto semplicemente, meno aulici e inclini a essere idealizzati della biografia belliniana sono affrontati senza evitare di far emergere i lati meno gradevoli del carattere del compositore (evidente nel lemma dedicato alla figura di Gaetano Donizetti, in cui le citazioni dalle lettere belliniane dipingono il catanese molto meno cortese e affabile del compositore bergamasco nel rapporto con i colleghi) e senza tacere il “revisionismo” di Francesco Florimo, che operò una vera e propria cura censoria sui documenti in suo possesso nell’obiettivo di preservare per i posteri un’immagine angelicata e irreale del grande amico.

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Massimilla Doni di Honoré de Balzac

E a proposito del Mosè in Egitto (di cui ho già parlato qui e qui) non giunge inopportuna la segnalazione di un celebre racconto breve di Honoré de Balzac, in cui il grande autore francese compie (nel III Capitolo) un’appassionata esegesi di questo celebre capolavoro. Massimilla Doni, oltre a essere una lettura decisamente piacevole (non a caso inserita dalla Sellerio nella sua collana Il divano) e oltre a porsi come un’appassionante storia d’amore contiene infatti anche una descrizione mirabile del mondo teatrale italiano dei primi 20 anni dell’800 visto dagli occhi dell’autore francese. La storia d’amore è quella tra la Massimilla Doni del titolo, sublime figura femminile dedita alle arti, e il principe di Varese Emilio Memmi, bellissimo ma squattrinato. Steso al ritorno dal suo viaggio in Italia del 1837 (ed edito nel 1839), il racconto è un grande atto d’amore alla città di Venezia e al mondo dell’opera italiana, immaginando una rappresentazione del Mosè in Egitto alla Fenice avvenuta nel 1820: al di là di occasionali imprecisioni (come i riferimenti alla rossiniana Semiramide, non ancora composta nell’anno in cui si ambienta la vicenda, o qualche errore nell’indicare le tonalità dei vari numeri del Mosè in Egitto) il racconto riesce a far comprendere al lettore odierno lo spirito con cui l’opera italiana veniva accolta dal pubblico dell’epoca, sottolineando isterie e fanatismi dei divi (il soprano Clara Tinti – evidente omaggio di Balzac alla divina Laure Cinti Damoreau – e il tenore Genovese, oltre al basso Giovanni Orazio Cartagenova, l’unico realmente esistito nell’immaginaria compagnia veneziana che allestisce il capolavoro rossiniano nella trama di Balzac) e descrivendo con delicatezza l’atmosfera decadente della Venezia ottocentesca che fa da sfondo all’amore di Massimilla ed Emilio. Quest’ultimo, sospeso tra l’estasi spirituale che lo lega a Massimilla (moglie del duca di Caetano) e l’attrazione carnale nei confronti della primadonna Clara Tinti (protegèe del duca stesso), pone questo dissidio tra spirito e materia al centro della propria vicenda sentimentale; il preciso e dettagliato commento del Mosè in Egitto (che Balzac stese con l’ausilio tecnico di Georg Jacob Strunz, cui è peraltro rivolto un pubblico ringraziamento d’apertura) costituisce per molti aspetti il culmine della narrazione amorosa.

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O patria mia di Simonetta Chiappini

Un ulteriore, e per il momento ultimo, libro dedicato al Risorgimento e alla vita musicale italiana del XIX secolo che mi sento di segnalare è l’ambizioso “O patria mia” (che Simonetta Chiappini ha pubblicato presso Le Lettere) con cui si chiude l’ideale trilogia bibliografico – risorgimentale che il blog ha consigliato, cominciando con “Chi per la patria muor / Alma sì rea non ha” di Francesco Cento della inEdition editrice e proseguendo con “O mia patria”, di Giovanni Gavazzeni, Armandio Torno e Carlo Vitali, edito dalla Baldini Castoldi Dalai. Il volume è ambizioso sia nella proposta che nella struttura, dato che si svolge come un complesso viaggio storico all’interno di una forma d’arte (il melodramma, appunto) di cui l’autrice cerca di sviscerare i complicati rapporti con i tumultuosi avvenimenti che caratterizzarono il XIX secolo e parte del XX, fino al fascismo. L’imponente apparato di note e la vastità dei temi trattati sono gestiti con disinvoltura, riuscendo a spaziare dalla letteratura (vengono citate sia la mitica Corinna o l’Italia di Madame de Staël che Massimilla Doni di Honoré de Balzac) all’analisi sociologica del melodramma ottocentesco come specchio di una società sempre più chiusa e, per quanto riguarda la figura della donna, sempre più opprimente. È particolarmente interessante l’ultimo paragrafo («Dalla “Giovine Italia” a “Giovinezza”») per l’accurata disamina de L’anima musicale della Patria, corposa raccolta di canti “popolari” (o presunti tali) che Achille Schinelli curò nel 1928 e che venne pubblicata da Ricordi in pompa magna con tanto di dedica a Benito Mussolini. I brani contenuti nella raccolta coprono un arco che va dal 1796 (Inno all’Albero della Libertà) alla famigerata Giovinezza fascista del 1922 e propongono un’analisi del sistema di propaganda fascista molto interessante, dato che fa combaciare l’apparente rivoluzione del movimento fascista (in realtà, come sappiamo, decisamente reazionario nell’ideologia e nell’idea di famiglia) con le aspirazioni rivoluzionarie del Risorgimento: le delusioni per i problemi dei primi anni dell’Italia unita, la rabbia verso la decadenza della società (che si risolse nella seconda metà dell’800 nell’innocuo – ma affascinante – momento della Scapigliatura) venivano superate da canti che proponevano un’esaltazione delle virtù virili del maschio italico e della forza rivoluzionaria dell’Unità.

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“Il giuramento” di Rossi e Mercadante di Ernesto Pulignano

Strano destino quello di Saverio Mercadante, compositore tra i più interessanti ma anche tra i più bistrattati nella moderna storia del recupero del repertorio ottocentesco italiano: autore intrigante ed erudito, tanto da essere spesso escluso dall’elenco dei “minori”, Mercadante non può nemmeno essere paragonato a Rossini, Bellini, Donizetti e Verdi (e considerato, quindi, “maggiore”). Mancano al compositore pugliese quell’immediatezza e quella riconoscibilità che sono caratteristiche salienti dei quattro artisti già citati e, benché si sia reso protagonista di una programmatica rivoluzione delle forme, Mercadante non arrivò a comporre opere in grado di entrare stabilmente in repertorio perché, a dispetto della raffinatezza della composizione, sostanzialmente mancava (e manca) alla sua musica la capacità di coinvolgere a fondo l’ascoltatore. Un musicista, in sintesi, che si ammira e si studia, ma che è un po’ più complicato amare: detto questo non è, tuttavia, affatto tempo perso indagare il suo repertorio e le sue composizioni che, benché spesso appaiano come fin troppo intellettuali e programmatiche nella rinunzia degli “effetti”, sono comunque scritte da un professionista che sapeva il fatto suo, sia per quanto riguarda la gestione delle voci che per ciò che concerne la cura dell’orchestrazione. Tra i pochissimi lavori di Mercadante rimasti abbastanza stabilmente in repertorio spicca Il giuramento (Teatro alla Scala di Milano, 11 marzo 1837), l’opera con cui secondo lo stesso autore iniziò la sua prevista riforma del teatro lirico: “variate le forme – Bando alle Gabalette triviali, esilio a’ crescendo. Tessitura corta: meno repliche – Qualche novità nelle cadenze – Curata la parte drammatica: l’orchestra ricca, senza coprire il canto – Tolti i lunghi assoli ne’ pezzi concertati, che obbligavano le altre parti ad essere fredde, a danno dell’azione – Poca gran cassa, e pochissima banda.” Questa rivoluzione stilistica è stata a volte mal compresa, cercando nella musica di Mercadante ciò che non poteva esserci: quando si parla di “forme variate” non si mette in discussione la struttura a numeri dell’opera italiana, ma i procedimenti con cui il pubblico riconosceva i numeri stessi, cercando una maggiore verità drammatica.

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O mia patria di Giovanni Gavazzeni, Armando Torno e Carlo Vitali

L’Italia è un paese strano, che ha bisogno di continue iniezioni di memoria per ricordare quello che è stato il suo passato e quelle che sono state le sue origini. Le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia, avvenute lo scorso anno in un clima economico di estrema incertezza e in un clima politico sul quale tacere è bello, sono ritornate sul ferro sempre caldo del Risorgimento e, in particolare, sulla musica che accompagnò la progressiva unificazione territoriale e geografica della penisola: tra i contributi pubblicati cavalcando l’onda dell’evento ho trovato particolarmente interessante “O mia patria”, volume a otto mani edito dalla Baldini Castoldi Dalai. Scrivo otto mani perché la prefazione di Philip Gossett è molto più che una semplice introduzione all’argomento (la musica popolare nel Risorgimento) ma si configura come una interessantissima piccola storia dei canti ottocenteschi, da leggere magari tenendo nel lettore un cd come Fratelli d’Italia, che gli stessi canti raccoglie in una completa antologia. Il centro del volume è nella storia del melodramma risorgimentale presentata in maniera agile, ma completa, da Giovanni Gavazzeni: pur limitandosi ai quattro grandi autori del canone ottocentesco italiano, Gavazzeni si permette una trattazione a metà tra il saggio storico e la musicologia, non perdendo mai di vista l’obiettivo del libro, ovvero dimostrare che (sono parole sue) “è nel mondo dell’opera […] che gli italiani, nonostante le sforbiciate censorie, si conquistavano faticosamente uno spazio di discussione che altrove languiva“. Una tesi condivibilissima, che viene esposta con rigore e completezza in un viaggio tra i capolavori di Rossini, Bellini, Donizetti e, immancabilmente, Verdi. All’analisi di Gavazzeni segue un interessante percorso socio-economico (significativamente intitolato “Opera, affare di stato”) a cura di Carlo Vitali (che firma anche un agile prospetto sinottico finale), in cui trovano spazio rimandi alle abitudini musicali della famiglia Leopardi e interessanti considerazioni sulla censura del XIX secolo. Il volume si chiude con Armando Torno che, nel capitolo finale, affronta l’affascinante figura di Pietro Maroncelli, patriota musicista e, secondo Torno, “il meno provinciale dei patrioti in un’Italia che riuscì ad esserlo completamente” e nella cui vita senza produzione musicale “si incarna e riflette il dramma culturale di un’epoca tutta italiana”.

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Ermafrodite Armoniche di Marco Beghelli e Raffaele Talmelli

Visto che negli ultimi post ho accennato sia a Bellini, che intendeva affidare il ruolo di Ernani a un contralto “en travesti” (anche Verdi aveva, sia pur per poco, accarezzato questa idea), sia al sensazionale esperimento di Marietta Alboni che affrontò, a Londra, la parte baritonale di Don Carlo in Verdi, non poteva capitare meglio la segnalazione di questo splendido libro di Marco Beghelli e Raffaele Talmelli edito dalla Zecchini Editore. Ermafrodite Armoniche è molto più che un “semplice” testo sul contralto ottocentesco: è anche un libro che cerca di ricostruire pazientemente e con amore un’estetica e una voce che sentiamo perduti, probabilmente, per sempre. In quest’ottica sperimentale e di ricerca va anche visto il ricco cd di ascolti (che vanno dai primi del ‘900 ai giorni nostri), in cui non sono presenti intere arie ma singoli frammenti utili a esaltare passaggi particolari o curiosi utilizzi di registro, sempre pazientemente e scrupolosamente richiamati durante la lettura (da effetuarsi per questo a portata di stereo): “nel Cd sono stati raccolti soltanto frammenti delle arie indicate, limitandosi a quei passi capaci di evidenziare le caratteristiche vocali qui inseguite” premettono gli autori all’indice degli ascolti, preceduto da una serie di note preziosissime per accostarsi con il giusto bagaglio culturale alle registrazioni risalenti ai primi anni del ‘900 e effettuate con tecniche spesso precarie. Ascoltare simili testimonianze eccezionali significa farlo consapevolmente ed evitando la superficialità di giudizi simili a quello (celeberrimo) di Mario Bernardi (marito di Anna Moffo), che disse, a proposito degli artisti di inizio XX secolo, “Erano tutti stonati. Tutti.”: ovviamente gli acuti sono spesso fissi, specialmente nelle registrazioni più antiche, ma questo perché mancano le armoniche superiori della voce, dato che le frequenze alte erano, all’epoca, impossibili da registrare. Ma, al di là delle note in questione che dovrebbero essere imparate a memoria da ogni musicofilo, quello che più affascina nel volume di Beghelli e Talmelli è il viaggio all’interno di una voce e di un timbro perduti, ricercati quindi in un appassionante viaggio storico ed esecutivo che va dal mondo dei castrati settecenteschi alla contemporaneità.

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