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“Il giuramento” di Rossi e Mercadante di Ernesto Pulignano

Strano destino quello di Saverio Mercadante, compositore tra i più interessanti ma anche tra i più bistrattati nella moderna storia del recupero del repertorio ottocentesco italiano: autore intrigante ed erudito, tanto da essere spesso escluso dall’elenco dei “minori”, Mercadante non può nemmeno essere paragonato a Rossini, Bellini, Donizetti e Verdi (e considerato, quindi, “maggiore”). Mancano al compositore pugliese quell’immediatezza e quella riconoscibilità che sono caratteristiche salienti dei quattro artisti già citati e, benché si sia reso protagonista di una programmatica rivoluzione delle forme, Mercadante non arrivò a comporre opere in grado di entrare stabilmente in repertorio perché, a dispetto della raffinatezza della composizione, sostanzialmente mancava (e manca) alla sua musica la capacità di coinvolgere a fondo l’ascoltatore. Un musicista, in sintesi, che si ammira e si studia, ma che è un po’ più complicato amare: detto questo non è, tuttavia, affatto tempo perso indagare il suo repertorio e le sue composizioni che, benché spesso appaiano come fin troppo intellettuali e programmatiche nella rinunzia degli “effetti”, sono comunque scritte da un professionista che sapeva il fatto suo, sia per quanto riguarda la gestione delle voci che per ciò che concerne la cura dell’orchestrazione. Tra i pochissimi lavori di Mercadante rimasti abbastanza stabilmente in repertorio spicca Il giuramento (Teatro alla Scala di Milano, 11 marzo 1837), l’opera con cui secondo lo stesso autore iniziò la sua prevista riforma del teatro lirico: “variate le forme – Bando alle Gabalette triviali, esilio a’ crescendo. Tessitura corta: meno repliche – Qualche novità nelle cadenze – Curata la parte drammatica: l’orchestra ricca, senza coprire il canto – Tolti i lunghi assoli ne’ pezzi concertati, che obbligavano le altre parti ad essere fredde, a danno dell’azione – Poca gran cassa, e pochissima banda.” Questa rivoluzione stilistica è stata a volte mal compresa, cercando nella musica di Mercadante ciò che non poteva esserci: quando si parla di “forme variate” non si mette in discussione la struttura a numeri dell’opera italiana, ma i procedimenti con cui il pubblico riconosceva i numeri stessi, cercando una maggiore verità drammatica.

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