Articoli con tag Parry

Ancora sul Maometto di Winter

Poco più di un anno fa pubblicavo un post dedicato all’interessante Maometto di Peter von Winter, segnalando come il Terzetto “Dei che piangendo imploro” fosse una delle pagine più belle della partitura, ammirato anche da Gioachino Rossini. Oltre all’incisione completa della Marco Polo (che riproduce l’intera opera registrata al festival di Bad Wildbad) questo splendido frammento è anche ascoltabile all’interno dell’antologia A hundred years of Italian Opera 1810-1820 della sempre benemerita Opera Rara, nell’esecuzione di Christian du Plessis, Anne Mason e Bronwen Mills con la Philharmonia Orchestra diretta da David Parry. Avendolo trovato su Youtube ve lo propongo.

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Alessandro nell’Indie di Giovanni Pacini

Quando Giovanni Pacini compone Alessandro nell’Indie è il 1824 e l’opera rappresenta il suo debutto con una nuova composizione nella prestigiosa piazza napoletana, all’epoca metropoli tra le più attive e vivaci per quanto riguarda l’opera lirica. La musica di Pacini era ovviamente nota ai napoletani, che avevano ascoltato alcune delle sue precedenti composizioni sia al San Carlo che al Teatro del Fondo (sembra incredibile ma il nemmeno trentenne compositore, all’epoca, aveva composto più di venti opere, la maggior parte delle quali avevano debuttato a Milano, sia al Teatro Re che alla Scala) ma è con l’Alessandro nell’Indie che il compositore avrebbe fatto ascoltare per la prima volta una musica nuova sul palco che lo avrebbe visto, negli anni seguenti, trionfare prima con L’ultimo giorno di Pompei del 1825 e poi, tanto per citare solo un altro titolo, con la Saffo del 1840, a tutt’oggi l’opera paciniana più giustamente celebre. Alessandro nell’Indie fu un debutto molto sofferto e Pacini stesso ne parla con dovizia di particolari nelle sue Memorie: “Eccoci alla prima sera fatale! Il teatro era affollatissimo poiché trattavasi di dover giudicare un’opera nuova d’un giovane maestro. Rimasi meravigliato (almeno in quell’epoca) del contegno dell’udienza. Si poteva dire di essere veramente ad un teatro di corte. Principia lo spettacolo. Un silenzio perfetto regna durante l’intera esecuzione!… Niuno applauso agli artisti, e per conseguenza neppure al povero maestro. Alla fine dell’opera un mite zi… zi… zi… si ripete in quel vasto recinto. Lascio considerare al lettore lo stato mio! Aveva passato l’intera serata esposto alla berlina (poiché si usava tuttora che l’autore dovesse andare al cembalo altro non facendo che voltare i fogli al violoncello ed al contrabbasso), fra la speranza ed il timore, essendo stato prevenuto che il pubblico di S. Carlo non applaudiva mai alla prima udizione di una nuova musica, ed assicurato che anche il gigante pesarese aveva subito la stessa sorte co’ suoi capi d’opera, principiando dall’Elisabetta. Ma il zittire alla fine dello spettacolo mi spaventò!

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Nelly Miricioiu: Bel Canto Portrait

A proposito di Belisario, e in attesa dell’allestimento del Bergamo Musica Festival, nonché della prossima registrazione integrale della Opera Rara, segnalo un interessante recital (edito sempre da Opera Rara) di una delle mie artiste preferite, la rumena Nelly Miricioiu, in cui è contenuto proprio il gran finale dell’opera eseguito nell’edizione critica di Ottavio Sbragia. L’ampia scena conclusiva del Belisario è al centro di un disco molto originale nell’impaginazione, come è la regola per la vivace etichetta inglese, e decisamente convincente nell’esecuzione. Nelly Miricioiu affronta stralci da quattro parti grandiose, pensate per tre autentiche divine dell’800, a cominciare dalla mitica Caroline Unger, soprano ungherese e tra le dive predilette da Gaetano Donizetti: per lei il musicista bergamasco compose non solo il Belisario (1836) ma anche la splendida Parisina (1833), di cui nell’album si esegue il bellissimo “Sogno” del II Atto. Per Giuditta Pasta venne invece composta l’Emma d’Antiochia di Saverio Mercadante (1834), la cui originale scena finale (che fa seguire all’aria e cabaletta della primadonna un particolare duetto femminile) è compresa nella registrazione, assieme a un’aria composta da Sir Michael Costa per la prima londinese de L’assedio di Corinto di Gioachino Rossini (1834) e destinata al virtuosismo e alla bravura della mitica Giulia Grisi.

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acta est fabula – 1 – Ecuba di Nicola Antonio Manfroce

Spesso, in occasione di discutibili riscoperte di titoli minori (anche nel caso di autori celeberrimi) si sente gridare al capolavoro ritrovato, questo nonostante siano pochissimi i casi in cui un vero capolavoro viene recuperato grazie a queste “riesumazioni” (come macabramente spesso vengono chiamate). Una luminosa eccezione è però costituita da Nicola Antonio Manfroce (1791-1813), compositore calabrese che nell’arco di una vita brevissima (appena 22 anni) riuscì a far allestire un’opera del massimo interesse come Ecuba, con cui colse un lusinghiero successo grazie alla potenza di una partitura in cui si coniugano l’impressione ricevuta dalla tragédie lyrique francese e la gloriosa tradizione dell’opera partenopea. Dopo aver composto nel 1809 la cantata La nascita di Alcide e dopo aver presentato nel 1810 un’Alzira su teso di Gaetano Rossi al Teatro Valle di Roma con le celebri Isabella Colbran e Adelaide Malanotte, Manfroce venne infatti scritturato dall’impresario Domenico Barbaja per un nuovo spartito che avrebbe debuttato al Teatro San Carlo di Napoli nel 1812: il 13 dicembre l’Ecuba sarebbe andata in scena con un cast d’eccezione formato da Maria Marchesini e Marianna Borroni (rispettivamente Ecuba e Polissena) oltre che dai celebri Manuel García (Achille) e Andrea Nozzari (Priamo).

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Quaresima – 1: Mosè in Egitto di Gioachino Rossini (e il Mosè “nuovo”)

Ogni luogo comune contiene un fondo di verità e a questa regola non fa eccezione nemmeno il mito degli italiani faciloni e inclini al compromesso per salvare capra e cavoli nelle situazioni più disparate. Un buon esempio di questo atteggiamento è nella tradizione di opere su argomento biblico e sacro che, durante il periodo della Quaresima (in cui per rispetto i teatri sarebbero dovuti esser chiusi) venivano allestite per la gioia di tutti: gli impresari non erano costretti all’inattività, compositori e artisti potevano continuare a lavorare e ad esibirsi, il pubblico non era costretto a rinunciare alla sua passione per il canto e per l’opera e la Chiesa (che nel repertorio più “profano” esigeva cambiamenti nei libretti sostituendo “Dio” con “Nume” o “chiesa” con il più generico “tempio”) poteva guardare con comprensione e interesse alla messa in scena di edificanti storie sacre che avrebbero accompagnato i fedeli (questo almeno nelle intenzioni) lungo il percorso di meditazione del periodo quaresimale dopo le follie carnevalesche. Alcuni dei lavori più belli, ispirati e poetici all’interno di questo genere così particolare (considerato elevatissimo, e per questo tra i più ambiziosi che un compositore potesse imporsi) vennero prodotti, nei primi anni del XIX secolo, al Teatro San Carlo di Napoli, teatro in cui la cosiddetta “opera quaresimale” (spesso definita come “Azione tragico sacra” o, più semplicemente, “Oratorio”) conobbe una duratura fortuna. Proprio a Napoli venne creata, il 5 marzo 1818, l’opera quaresimale forse più celebre di tutte: il Mosè in Egitto di Gioachino Rossini.

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Gothic Tales – 3 – Maria de Rudenz di Gaetano Donizetti

Il pulp è un genere letterario che propone vicende dai contenuti forti, abbondanti di crimini violenti, efferatezze e situazioni macabre […].Il genere pulp nacque nei primi anni venti negli Stati Uniti con storie pubblicate a puntate su riviste (le cosiddette Pulp magazine) di 128 pagine dalle sfolgoranti copertine ma con le pagine interne stampate su carta non rifilata di polpa di legno (in inglese pulp), quindi di infima qualità. (Fonte: Wikipedia)

Forse non rispetta tutte le regole del pulp (che del resto non era ancora nato), ma la donizettiana Maria de Rudenz è indubbiamente una vicenda piena di contenuti forti e scelleratezze, oscillante tra fantasmi (presunti) e crimini (reali) per concludersi con la protagonista che, creduta erroneamente morta in almeno un paio di occasioni, muore definitivamente strappandosi le bende dalle ferite sanguinanti e gettandole a terra di fronte al suo assassino. Composta per il Teatro La Fenice di Venezia dove debuttò il 30 gennaio 1838, Maria de Rudenz non è solo l’ultima opera donizettiana rappresentata in Italia prima della fase francese del compositore di Bergamo, ma è anche uno dei titoli più violenti e convulsi dell’intera letteratura operistica, vera summa della celebre frase dell’autore “Voglio amore e amor violento”. Di amore violento, in quest’opera, ce n’è a bizzeffe: un amore (specialmente quello della protagonista) così totalizzante e dirompente da poter quasi giustificare azioni agghiaccianti ed estreme, in un soggetto la cui violenza venne fortemente stigmatizzata da gran parte dei critici dopo la prima. Maria de Rudenz, in realtà, è un’opera molto interessante e ricca di musica spesso splendida (del resto è un lavoro che appartiene alla piena maturità donizettiana), costruita secondo un interessante ed equilibrato senso delle proporzioni che, specialmente negli appassionanti duetti di II e III Atto, conduce a vertici notevoli.

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Buon Compleanno Donizetti!

Il 29 novembre 1797 nasceva Gaetano Donizetti, quello che (non me ne voglia nessuno) considero il mio compositore preferito (Mozart fa categoria a sé): Auguri Maestro! Visto che, esattamente tra un anno, il Bergamo Musica Festival Gaetano Donizetti allestirà Maria de Rudenz in forma di concerto per il Dies Natalis del 2012, festeggiamo con un ascolto proprio da quest’opera. EDIT del 2 aprile 2012 – Dal sito del Bergamo Musica Festival è scomparsa la Maria de Rudenz e, per il 29 novembre 2012, si legge: “Al compositore sarà poi dedicato il concerto sinfonico per il Dies Natalis, programmato al Teatro Sociale di Città Alta la sera del 29 novembre.

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