Articoli con tag filologia

Bizzarra è inver la scena: appunti pesaresi

Tell_AlaimoPubblicato anche su OperaClick.

Mica facile allestire Rossini. Ne sanno qualcosa a Pesaro dove, al rigore filologico dell’esecuzione musicale, si è sempre affiancata la via dell’audace sperimentazione registica, lasciando all’estro di uomini di teatro la possibilità di inventare e reinventare una drammaturgia particolare e raffinatissima come quella di Gioachino Rossini. Molti allestimenti pesaresi hanno fatto la storia del teatro rossiniano, mentre altri sono presto caduti nel dimenticatoio, ma resta un dato di fatto che il Rof ha avuto tra i suoi meriti anche quello di chiarire la presenza della regia teatrale come più di un semplice complemento visivo all’esecuzione musicale, ma una vera e propria interpretazione della partitura, in grado di mescolare riferimenti all’immaginario rossiniano rileggendoli secondo la cultura, lo stile e le abitudini della contemporaneità. Il Rossini Opera Festival 2013, che presentava due nuovi spettacoli di beniamini del festival come Davide Livermore e Graham Vick accanto alla ripresa di un classico di Jean-Pierre Ponnelle, ha offerto quindi il destro per alcune considerazioni, senza alcuna pretesa di esaustività, sulle problematiche relative all’allestimento dell’opera rossiniana di oggi.

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Mio caro Ossian addio

Come sa chi segue il blog collaboro con piacere al quotidiano online OperaClick. Questo pezzo sull’attesa Norma interpretata da Cecilia Bartoli (al cui discutibile approccio al repertorio del primo Ottocento avevo già dedicato un post) è pubblicato, con mio grande piacere, contemporaneamente sia qui sul blog che nell’HP di OC.

Norma Bartoli Cd“A new vision”, “The return to Bellini’s original conception”, “this iconic opera has been restored as Bellini originally intended”… sono alcune delle frasi con cui l’abilissima campagna di marketing organizzata dalla Decca ha presentato al pubblico il lancio in pompa magna della nuova registrazione in studio della belliniana Norma, ultimo approdo della rilettura del repertorio primo-ottocentesco iniziata da Cecilia Bartoli con il suo album Maria del 2007 (dedicato alla figura iconica di Maria Malibran). Cecilia Bartoli campeggia, vestita come Anna Magnani (ma che c’entra, poi?), in copertina dell’elegante cofanetto appena sfornato, al centro di una grafica aggressiva e glamour che, da lontano, fa quasi scambiare il disco con l’ultimo album di Gianna Nannini (con tutto il rispetto). Le reazioni degli appassionati sono state prevedibili: deliquio per i fans più accaniti, asprissime critiche da parte dei detrattori più agguerriti.

Che prima o poi Norma sarebbe arrivata nel repertorio della cantante romana, dopo La sonnambula e dopo l’incisione in studio di “Casta Diva”, era inevitabile: troppe dichiarazioni portavano in questo senso e la presa di ruolo, sia pur gestita con la prudenza del caso con un debutto al festival di Dortmund, rendeva ormai improcrastinabile una nuova incisione realizzata attorno all’unica artista in grado, oggi, di poter trovare i cospicui fondi necessari per un’incisione in studio che si suppone alquanto costosa, essendo stata realizzata nel corso di tre differenti sessioni (due nel 2011 e una nel 2013). Ma questa Norma è veramente una “new vision”? Francamente no: al termine dell’ascolto permangono molte perplessità, anche maggiori di quelle lasciate dalla sonnambula del 2008, circa i criteri di realizzazione.

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Belisario e la revisione di Ottavio Sbragia

Belisario di Gaetano Donizetti ha conosciuto e sta conoscendo, in questo 2012, una sorta di (limitata) rinascita: Belisario è stato infatti allestito dal Bergamo Musica Festival 2012 (leggi qui la mia recensione su OperaClick) come titolo inaugurale di quest’anno e dalle recite orobiche, interpretate da Donata D’Annunzio Lombardi, Dario Solari, Andeka Gorrotxategui, Annunziata Vestri e Francesco Palmieri con la direzione di Roberto Tolomelli e la regia di Luigi Barilone, verrà montata e edita la prima realizzazione in dvd del capolavoro donizettiano. L’opera è anche in corso di incisione per la benemerita casa inglese Opera Rara, che ne sta realizzando la prima registrazione in studio assieme a una rappresentazione in forma di concerto alla Barbican Hall di Londra con la BBC Symphony Orchestra diretta da Mark Elder e un cast composto da Joyce El-Khoury, Nicola Alaimo, Russell Thomas, Camilla Roberts e Alastair Miles. In entrambi gli allestimenti è stata utilizzata l’edizione moderna a stampa dell’opera realizzata dallo studioso Ottavio Sbragiache ormai da moltissimi anni si sta dedicando con cura a questo misconosciuto capolavoro donizettiano. Le rappresentazioni orobiche e londinesi del 2012 non sono, tuttavia, le prime ad aver utilizzato il lavoro di Sbragia dato che, come informa il blog del curatore, l’edizione è stata utilizzata nel 2000 da Opera Rara per il disco Bel Canto Portrait nonché allestita nel 2004 al Fletcher Opera Institute North Carolina e nel 2011 rappresentata in forma di concerto alla Queen Elizabeth Festival Hall di Londra, con il Chelsea Opera Group sotto la direzione di Richard Bonynge e l’Antonina di Nelly Miricioiu. Per saperne qualcosa di più ho inviato qualche domanda via mail al Dott. Sbragia, domande cui ha risposto con grande cortesia e disponibilità, ed è con la pubblicazione di questo “carteggio” che intendo inaugurare questa nuova rubrica di interviste del blog, che intende raccogliere le testimonianze di studiosi, musicologi e/o anche semplici appassionati sugli aspetti più curiosi, particolari e interessanti del mondo del Primo Ottocento italiano.

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La soprano o Il soprano?

è UN soprano? No, è un tenore: Plácido Domingo, ospite nella stagione 19 (The Homer of Seville) dei Simpsons

La soprano o Il soprano? A beneficio (spero) di chiunque abbia dubbi copio questa nota di Aldo Gabrielli dal libro Si dice o non si dice? e riportata nel forum dell’Accademia della Crusca: «Soprano era in origine aggettivo, disceso da un latino volgare superanus, poi contratto in supranus, da super, sopra. Alla lettera, che sta sopra, superiore. […] Aggiungerò che da soprano si fece la variante sovrano, cosí come da sopra si era fatto sovra, e si usò come aggettivo (“Omero, poeta sovrano”, Dante) e come sostantivo, nel significato di re, di monarca (propriamente, colui che sta sopra gli altri, che ha il piú alto potere). Nel Seicento si passò dall’aggettivo al sostantivo, e si chiamò maschilmente soprano (ma propriamente “canto o registro soprano”) la voce umana di piú alto registro, quella che è propria delle donne e dei fanciulli, ma che un tempo era anche degli uomini, i quali la ottenevano con i noti mezzi inumani o anche mediante il cosiddetto falsetto. In seguito questo sostantivo, ripeto solo maschile, si adattò anche alla persona dotata di tal voce, donna, uomo o ragazzo che fosse. E di qui nasce l’incertezza, che ancora sussiste, sul genere di questo sostantivo oggi che i soprani maschi non esistono piú. Non mi par dubbio, però, che l’unico uso corretto sia il soprano, al maschile, anche con riferimento a donna; nel plurale, i soprani. Un esempio del D’Annunzio: “Tilde era un primo soprano non molto giovane”; nel linguaggio dei critici musicali piú vigilati questa forma maschile è poi quella generalmente rispettata. Diremo perciò “il celebre soprano Maria Caniglia”, “Questa ragazza diverrà un ottimo soprano”. Dire, come correntemente spesso si dice, la soprano, una soprano, e nel plurale le soprano, mi pare francamente un abuso, che consiglierei di evitare. Va da sé che la stessa regola dovrà valere per il mezzosoprano, plurale i mezzosoprani, e anche per il contralto (“Il celebre contralto Marietta Alboni”), che farà nel plurale i contralti.» (Aldo Gabrielli, Si dice o non si dice?, Milano, Mondadori, 1976, pp. 87-88.)

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Dive e Maestri di Philip Gossett

Un libro fondamentale (almeno per ogni appassionato d’opera legato al mondo del repertorio italiano del XIX secolo) scritto da uno dei più autorevoli studiosi di questo repertorio. In un’appassionante cavalcata tra gustosi dietro le quinte e ritrovamenti avventurosi questo volume si pone a metà tra l’autobiografia del Gossett studioso e l’emozionante racconto di un’epoca (gli ultimi quarant’anni) in cui, prima con una certa timidezza e poi con sempre maggior convinzione, il repertorio ottocentesco italiano non solo è sempre più stabilmente entrato nei repertori correnti dei teatri di tutto il mondo (almeno per quel che riguarda il Rossini serio e certo Donizetti) ma si è anche affermato in una nuova mentalità esecutiva rigorosa e filologica (sopratutto nel caso di un autore già assai diffuso come Verdi). Gossett affronta nel poderoso volume edito da Il Saggiatore un viaggio all’interno della prassi esecutiva odierna, non risparmiando critiche e perplessità a molte esecuzioni e svelando molti gustosi retroscena che, da soli, valgono la lettura del volume in questione (uno per tutti: la cronaca del micidiale tonfo pesarese di Montserrat Caballé nell’Ermione del 1987). Non si tratta, però solo di un libro di prassi filologica: ogni aspetto riguardande l’esecuzione di un’opera italiana dell’Ottocento, a partire dalle questioni storiche per proseguire con quelle puramente vocali e musicali terminando con un’interessante riflessione sugli aspetti legati al mondo dei registi e della messa in scena, viene trattata con grande senso pratico, cercando di coinvolgere nella lettura tanto l’addetto ai lavori quanto il semplice appassionato, spesso ignaro delle numerose dinamiche che si pongono dietro ogni produzione lirica e, soprattutto, dietro la gestione di quell’oggetto (per molti ancora misterioso) che sono le edizioni critiche.

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