Archivio per la categoria La traviata

TuttoVerdi – La traviata

CMajor723608_Tutto-Verdi_LaTraviataDVD_FrontCover_komprimiertQuesta traviata è uno dei volumi più interessanti del ciclo TuttoVerdi edito dalla CMajor con registrazioni provenienti dal Teatro Regio di Parma: allestita durante il Festival Verdi 2007 (assieme alla Luisa Miller di cui ho già parlato) questa traviata venne da molti sminuita nel confronto con la Luisa, ma la pubblicazione del diciottesimo volume della serie consente, a distanza di cinque anni, di rivedere in parte questo giudizio, che comunque io non condivisi nemmeno all’epoca, avendo assistito dal vivo a entrambi gli spettacoli, oltretutto in due giorni consecutivi. Avendo già parlato del bellissimo spettacolo di  Karl-Ernst e Ursel Herrmann in questo post eviterò di ripetermi e rimando al link per le opinioni circa regia, scene e costumi. Circa la parte musicale aggiungo che la direzione di Yuri Temirkanov è bellissima, intensa e calda come una colata di lava, ma intrisa di un lirismo struggente che non manca di lasciare il segno; peccato per i canonici tagli “di tradizione”. Nel cast Svetla Vassileva fu molto criticata ma onestamente non capisco perché: gli acuti sono striduli e c’è un fuori tempo abbastanza evidente al termine di “Sempre libera” (che non sarebbe stato male correggere) ma, al di là del fatto che si sente molto di peggio in giro, l’interpretazione e il fraseggio sono talmente personali da farsi perdonare molte cose; in più è una bella donna e in scena sta molto bene. Più scialbo Massimo Giordano, comunque un Alfredo abbastanza attendibile, per quanto assai parco di sfumature, e bravo Vladimir Stoyanov, un Gérmont padre notevole. Uno dei dvd del ciclo TuttoVerdi che assolutamente merita una visione.

(19 – continua)

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Riccardo Muti – Il mio Verdi

Pack-MutiMeritoria, indubbiamente, l’iniziativa del Corriere della Sera, che ha presentato in dieci uscite un prezioso cofanetto contenente nove opere in cd e un documentario in dvd dedicati all’arte di Riccardo Muti alle prese con la musica di Giuseppe Verdi. Il titolo, pomposo, dell’intera raccolta è, da solo, tutto un programma: Riccardo Muti, Il mio Verdi. Sgombriamo subito il campo da quelli che, personalmente, ritengo essere i punti deboli della raccolta in questione, ovvero il solipsismo del direttore protagonista di tutte le incisioni, tanto da far sparire il nome dei solisti di canto dal retro di ogni booklet a partire dalla terza uscita, e il continuare nella retorica del Verdi che “diede una voce alle speranze e ai lutti, pianse ed amò per tutti”, secondo una patriottarda definizione di Gabriele D’Annunzio che, personalmente, trovo alquanto superata (ma ribadita nel dvd che costituisce l’uscita n.10 della serie). Verdi cantò l’Italia e gli italiani, questo è fuor di dubbio, ma soprattutto ne cantò i difetti e le contraddizioni, con quell’amore che non cela ma, al contrario, sottolinea quanto può e deve essere modificato: continuare nella retorica facile significa sottovalutare la portata politica del messaggio verdiano che, soprattutto in tempi tristi e complicati come quelli che stiamo vivendo, sarebbe invece molto importante.

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Storia di una puttana

Svetla VassilevaLa recente polemica che, in occasione del ballo in maschera allestito alla Scala di Milano, ha investito lo spettacolo di un regista che ammiro e apprezzo come Damiano Michieletto si è, ancora una volta, arenata molto spesso (almeno nei giornali) sullo scontro tra i cosiddetti passatisti e i cosiddetti modernisti. Si tratta di una distinzione che reputo stupida e semplicistica: non tutte le regie con ambientazione tradizionale sono lodevoli e non tutte le riletture e trasposizioni sono pessime (e viceversa)… è, insomma, la vecchia massima secondo cui un conto è l’ambientazione e un conto e la regia. Lapalissiano, si direbbe, ma non così tanto, stando almeno ai fischi che hanno accolto Michieletto, il quale ha forse avuto l’unico torto di essere l’ultimo spettacolo in un anno scaligero in cui le regie verdiane non hanno certo brillato per fascino. Che l’equazione regia = scenografia = ambientazione sia inutile e fuorviante lo penso da tempo e, soprattutto, lo penso quando leggo i teneri pensieri di chi a teatro cerca il bello e non le brutture della contemporaneità. Mi viene da ridere perché anche Verdi si sentì dire le stesse cose quando portò in scena La traviata: perché raccontare la storia di una puttana con gli stessi abiti indossati dal pubblico in sala? Perché negare all’opera la possibilità di evasione ed essere costretti a guardare nel buio della società che siamo? Allora siamo proprio sicuri che la storia di una puttana (è Verdi a definirla così, e del resto il mestiere che svolge è inequivocabile) non debba coinvolgerci, sconvolgerci, farci pensare… insomma siamo sicuri che l’opera, per sopravvivere, non debba essere più di un semplice diletto e passatempo borghese? (Questa è per i “passatisti”) Ecco allora che la regia diventa un elemento fondamentale per permettere al messaggio eversivo e, perché no, sovversivo dell’opera lirica di emergere nella sua forza… e poco importa che sia regia tradizionale o moderna (una distinzione che trovo priva di senso), ma deve comunque esserci. Siccome sono bastian contrario per natura e per carattere vorrei parlare di un allestimento di traviata che amo molto, quello con regia di Ursel e Karl-Ernst Herrmann della Deutsche Oper am Rhein, Theatergemeinschaft Düsseldolf-Duisburg e Théâtre de la Monnaie di Bruxelles, da me visto nella ripresa del 2007 al Festival Verdi di Parma. Si tratta di uno spettacolo sostanzialmente classico, ma che dimostra come anche un’ambientazione tradizionale possa contenere una regia splendida e coinvolgente. (E questa è per i “modernisti”) Un allestimento che mi sembra la prova vivente di come sia inutile e ridicola questa distinzione stupidina tra allestimenti tradizionali e moderni (magari giudicando uno spettacolo solo da due foto recuperate in rete), perché non basta una scenografia per creare la “tinta” di un’opera, ma dalla scenografia si deve partire per la creazione del teatro.

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Violetta, ossia La traviata censurata

Violetta Foto di Lucia T. Sepulveda 1La traviata è un’opera il cui argomento è scomodo ancora oggi, sia pure in maniera meno dirompente rispetto al XIX secolo: la storia di una prostituta (d’alto rango, certamente, ma sempre prostituta rimaneva) decisa a cambiare vita nell’inutile tentativo di farsi accettare all’interno della società borghese era considerata decisamente immorale e scandalosa. Non stupisce quindi, l’interesse della censura volto a moralizzare e “normalizzare” il soggetto in questione perché, che diamine, a teatro si va per divertirsi e mica ci si diverte se si pensa all’ipocrisia della società di cui si fa orgogliosamente parte. Nello Stato Pontificio, quindi, si diffuse Violetta, ovvero una versione dell’opera che, a partire dal titolo, minimizzava e nascondeva la maggior parte degli aspetti più scandalosi del capolavoro verdiano. La lettura di questo libretto “censurato” è molto interessante e istruttiva per capire quanto l’opera verdiana avesse colpito nel vivo nel denunciare le contraddizioni di una società molto perbenista ma molto spietata nelle sue regole: come già al debutto veneziano l’azione è spostata al ‘700 (nonostante i ritmi ottocenteschi presenti in partitura, per un’analisi dei quali rimando alla lettura di questo libro) specificando, anzi, che l’intera storia si svolge “all’inizio del 1700”, ma non è questa la sola variante presente nella Violetta che, dopo l’allestimento al Teatro Apollo di Roma nella Stagione di Carnevale del 1854, restò la veste con cui La traviata venne conosciuta in molti teatri fino all’Unità. Gli interventi della censura possono essere distinti in tre sottoinsiemi, peraltro strettamente comunicanti tra loro: quelli di matrice religiosa, quelli di matrice sociale e quelli di matrice che potremmo definire “educativa” o morale. Si tratta di sottoinsiemi tutt’altro che ermetici, ma questa schematizzazione consente una maggiore chiarezza nell’elencare le non poche (e non felici, of course) modifiche imposte al libretto.

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Emilio Sala: Il valzer delle camelie

Il valzer delle camelieTra le varie pubblicazioni verdiane che, negli anni, hanno arricchito gli scaffali dei negozi un posto d’onore merita Il valzer delle camelie – Echi di Parigi nella Traviata di Emilio Sala, pubblicato nel 2008 dalla Edt Musica all’interno della sua collana Improvvisi. Il libro di Sala si propone di contribuire a sfatare il mito di un Verdi ruspante e popolareggiante, il famoso Verdi dall’alito con “un sano odor di cipolla” come amava ricordare Bruno Barilli nel sottolineare la natura contadina del compositore. Verdi stesso, del resto, amava essere considerato un contadino, ed è bene ricordare e ribadire quanto lui stesso abbia contribuito alla stesura di questa sua immagine agiografica e mitica. Una leggenda, comunque, dato che Verdi è ovviamente molto di più: Verdi è un autore che non ha melodrammatizzato gli italiani (che ci piaccia o no siamo già abbastanza melodrammatici di nostro) ma è stato tra i più raffinati interpreti di un’epoca complicata e convulsa, attento alle sollecitazioni più raffinate del teatro europeo. Un indagine di questo ampio aspetto di Verdi è presente nel libro di Sala, che si configura come un affascinante viaggio nell’universo culturale, musicale e teatrale della Parigi ottocentesca, alla ricerca di quanto possa aver ispirato il compositore nella creazione di una delle sue eroine più popolari e commoventi. L’indagine (dalla Bibliografia imponente) è comunque articolata in una scrittura snella e avvincente, affrontando prima il problema del mélodrame e del teatro di boulevard, proseguendo quindi con un viaggio tra i valzer e le polke dell’epoca per terminare con un’indagine delle vere e proprie reminiscenze musicali presenti nell’opera. Non mancano nemmeno, ovviamente, riferimenti precisi e presenti a Marguerite Gautier e alla “vera” Violetta, quella Marie Duplessis che con la sua storia avrebbe segnato in maniera così indelebile la cultura europea del tempo.

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