Articoli con tag film

Un viaggio inaspettato e una noia prevedibile

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Il blog si chiama Non solo Belcanto e difatti ecco un post che col Belcanto non ha niente a che fare, dato che riguarda la nuova fatica di Peter Jackson, ovvero il primo capitolo di una trilogia cinematografica tratta dal bellissimo The Hobbit di Tolkien, ovvero Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato. Chi scrive è sempre stato un tolkieniano della prima ora, lettore e rilettore accanito non solo della Trilogia del Signore degli Anelli ma anche di tutte le altre opere del grande autore britannico: per queste ragioni non ho affatto amato la banalizzazione e la barbara (per me ovviamente) semplificazione che Jackson ha dato delle complesse tematiche del Signore degli Anelli così come si sono viste nella trilogia di dieci anni fa. Quando è stata annunciata una nuova trilogia (che barba… ma i film autoconclusivi ci fanno veramente così schifo?) tratta da Lo Hobbit in molti hanno pensato che fosse un’astuta mossa di marketing di un regista furbacchione, complice degli studios nell’allungare il brodo di un romanzo molto breve e stringato nel tentativo di ripetere il clamoroso successo al botteghino degli altri film fregandosene altamente e bellamente di cose come ritmo narrativo, rischio di logorrea in dialoghi e inquadrature, sfilacciamento della tensione del racconto. Quei molti avevano ragione. Le (basse) aspettative sono state infatti confermate in pieno. Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato è più che un film brutto: è noioso, lento, non ha il ritmo dell’action movie né la visionarietà del kolossal, gli effetti speciali sono talmente invasivi da far sembrare i dialoghi un contorno alla spettacolarità della tecnologia avanguardistica del 3D a 48 fotogrammi al secondo (che mi dicono spettacolare… sarà, io l’ho visto in 2D), la sceneggiatura arranca lentamente, “come del burro spalmato su di una fetta di pane troppo grande” (tanto per rimanere in clima tolkieniano) e la lunghezza della pellicola (che è lenta, lenta, lenta e sembra non finire mai) nemmeno aiuta nella definizione dello spazio geografico in cui si muovono i personaggi: ma Dol Guldur non dovrebbe essere a Bosco Atro (ovvero oltre le Montagne Nebbiose)? E che necessità c’è di sviluppare la (brutta) figura dell’orco albino? E perché Radagast il Bruno è presentato come un figlio dei fiori andato a male? E perché appesantire l’inizio con quella lunga (infinita) sequenza di Bilbo che da l’impressione di essere stata messa solo per allungare il brodo? E perché, infine, inserire infodump sotto forma di flashback che interrompono la narrazione per minuti interi?

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Tamino alla guerra

Ogni genere artistico ha delle regole ben precise, violando le quali rischia di essere snaturato nella sua essenza più profonda. L’opera lirica nasce e vive, innanzitutto, a teatro e nello spazio teatrale trova la sua ragion d’essere: trasferire un’opera lirica al cinema per farne un film può condurre a uno spiacevole effetto boomerang, ovvero scontentare i melomani e al tempo stesso annoiare i cinefili. Di fatto quasi tutte le trasposizioni cinematografiche di celebri opere liriche si sono risolte in un nulla di fatto per una serie di problemi squisitamente pratici, tra cui spicca quello del tempo. L’opera vive di tempi lenti e riflessivi, spesso incompatibili (anche nel caso delle opere più vivaci e drammaturgicamente brillanti) con il dinamismo richiesto al linguaggio cinematografico. Ne sa qualcosa Franco Zeffirelli, che ha girato ben due film-opera (La traviata e Otello) i quali, al di là del risultato artistico (discreto nel primo caso, discutibile nel secondo), sono stati accumunati da inaccettabili rimaneggiamenti delle partiture verdiane per “adattarle” al linguaggio cinematografico. Si tratta, mutatis mutandis, dello stesso problema in cui è incorsa la recente trasmissione televisiva “Mettiamoci all’opera”: le arie liriche sono state sminuzzate per essere adattate ai “tempi” televisivi (ancora più rapidi di quelli cinematografici) e gli artisti costretti a esibirsi anche in brani leggeri riadattati. Quello che ne esce non scontenta il melomane perché il melomane “è snob” (come amano dire certe anime candide), ma perché (molto semplicemente) non è opera, ma un qualcosa di diverso da ciò che dovrebbe essere un’opera lirica.

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Il Compleanno di Tristano (e Isotta)

Il rapporto tra opera e cinema è strano. In quanto genere per sua natura (si canta anziché parlare) privo di realismo, il teatro lirico appare incompatibile, per tempi drammatici ed espressività, con il dinamismo richiesto dal mezzo cinematografico, a dispetto degli evidenti debiti con il melodramma che, soprattutto nei suoi primi anni di vita, il cinema ha contratto. Per aprire questa nuova categoria del blog, dedicata ai rapporti tra opera e cinema, non ho scelto una delle molte trasposizioni cinematografiche (alcune riuscite, altre meno) di opere liriche ma un film più particolare, scoperto per caso grazie allo spirito di iniziativa di un’amica che ha ben pensato di propormene la visione dopo essere stata costretta dal sottoscritto a un barbaro lungo pomeriggio di ascolti wagneriani.
Il Compleanno di Marco Filiberti (2009), difatti, è un film profondamente permeato dalla musica e, in parte, dall’estetica wagneriana e proprio per questo motivo il previsto contrappasso (il film è bello, ma la tematica è indubbiamente pesante e la visione lascia una discreta tensione addosso) ha portato alla scoperta di un prodotto interessante e persuasivo, peraltro in parte girato a Jesi con il contributo della Fondazione Pergolesi Spontini. Spulciando in rete ho trovato molte recensioni al film, molte assolutamente negative e, almeno secondo il modesto punto di vista di un melomane che non ha le competenze per essere anche un critico cinematografico, anche ingiuste, perché non mi pare che si sia tenuto conto dell’estrema importanza che Wagner (e il Wagner di Tristan und Isolde) ha nella gestione dell’atmosfera generale del film. Questi brevi note, quindi, non vogliono essere una recensione del film e non ne hanno la pretesa, ma semplicemente vogliono essere una riflessione “a margine” sui rapporti con Wagner che trovo assolutamente evidenti nella regia e nella sceneggiatura di Filiberti.

Attenzione SPOILER: continuando a leggere verrà svelata la trama del film

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