Archivio per la categoria CD

Stella di Napoli – Joyce DiDonato

Joyce DiDonato Stella di NapoliMi è successa una cosa abbastanza divertente al primo ascolto di Stella di Napoli, la recente fatica discografica di Joyce DiDonato edita dalla Warner Classics: la prima traccia (ascoltata su Youtube, prima dell’arrivo del cd, quindi senza il libretto sotto mano), “Ove t’aggiri o barbaro”, mi è sembrata una brillante pagina da una sconosciuta opera comica di Pacini. Cercando qualche informazione su Stella di Napoli mi sono accorto, non senza un po’ di stupore, trattarsi invece di un’opera seria. Basterebbe questo a riassumere le mie opinioni su questo disco, che attendevo con discreto interesse, non foss’altro che per la presenza di alcune arie da opere misconosciute del primo Ottocento italiano. La DiDonato è un’artista carismatica, una persona intelligente e una vera forza della natura, ma affronta queste pagine con una voce che, sostanzialmente, è quella di una cantante di mezzo carattere (e non di una primadonna tragica) senza nemmeno che l’accento riesca a compensare i limiti dello strumento naturale, cosa che ad esempio riusciva a una Beverly Sills. Ecco allora le motivazioni del misunderstanding sul “genere” della prima track del disco che, sia detto en passant, è solo la cabaletta di una più ampia scena solista che, trattandosi dell’opera che dà il titolo all’intero album, mi sarei aspettato almeno incisa per intero. Il problema è che non c’è un brano in tutto il disco in cui l’accento sia completamente adeguato: il grande finale di Saffo, altra opera paciniana, è privo di quella allure tragica che dovrebbe costituire il fulcro dell’ampia scena (che peraltro chiamava in causa anche le potenzialità dell’attrice, viste le accurate didascalie previste anche in partitura, e che quindi molto si aspetta dall’accento e dalle capacità interpretative dell’interprete di turno) e anche la scena finale di Zelmira, dopo un attacco di “Riedi il soglio” promettente, non mantiene lo stesso afflato nobile per l’intero brano.

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Rossini – Julia Lezhneva

V5221_DIGI_8 fev.inddNon è un disco recente, ma mi è capitato di riascoltarlo negli ultimi giorni e mi accorgo che nel blog non ne avevo ancora mai parlato: l’album Rossini registrato da Julia Lezhneva con la Sinfonia Varsovia diretta da Mark Minkowski e edito da Naïve venne salutato nel 2011 dalla stampa internazionale con discreto entusiasmo. Ascoltandolo allora non condivisi e riascoltandolo oggi… nemmeno! Il problema del disco è, innanzitutto, nel programma: brani per contralto (sia pure Cenerentola che, in fondo, è un mezzosoprano benché composta per Geltrude Righetti Giorgi) si alternano ad arie destinati alla multiforme vocalità di Isabella Colbran (Otello, La donna del lago e Semiramide) e, tanto per non farci mancare nulla, anche una romanza pensata per Laura Cinti-Damoreau (la bellissima “Sombre forêt” dal Guillaume Tell). La giovanissima Lezhneva esce dal confronto con questa scaletta impegnativa con parecchi affanni: la voce sarebbe anche estesa e interessante e l’interprete cerca di affrontare la linea vocale con gusto e pulizia ma la tecnica di coloratura è in pieno “Bartoli style”, di fatto esibendo sempre una coloratura di grazia e mai di forza, nemmeno dove un impeto maggiore (penso a Semiramide) sarebbe consigliabile e, anzi, auspicabile. L’emissione appare bassa di posizione come spesso costuma oggi e anche l’intelligenza della musicista (che avrebbe qualche discreta intenzione interpretativa) fatica a emergere, visto che il suono raramente viaggia raccolto sul fiato come l’esecuzione di questa musica splendida ma difficilissima esige.

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Grandioso!

Grandioso Box CoverGli anniversari passano ma, spesso, qualcosa lasciano, come è il caso di questo agile cofanetto di 7 cd edito dalla Deutsche Grammophon e significativamente intitolato Grandioso! Great VERDI Recordings from Caruso to PavarottiGrandioso è una delle più enigmatiche, ma anche delle più caratterizzanti, prescrizioni verdiane: Verdi la utilizza molto spesso, sempre in corrispondenza di momenti drammaturgicamente molto significativi, quindi il nome scelto per questo bel cofanetto non è affatto dato a caso. Grandioso! è anche il livello della maggior parte dei brani contenuti in questa raccolta che, in ordine alfabetico, copre la maggior parte delle opere verdiane con ascolti molto interessanti. Si segnalerà, quindi, la presenza di una splendente Grace Bumbry, alle prese sia con Eboli che con uno spettacolare “Tu che le vanità”; un Giuseppe Di Stefano come al solito assai peculiare come tecnica e emissione ma infinitamente migliore dei suoi numerosi e disgraziati imitatori; la sempre splendida Elvira di Joan Sutherland dal famoso recital del 1959 diretto da Nello Santi, e ancora l’Ernani di Carlo Bergonzi, il Duca di Luciano Pavarotti e tanti altri. Più interessanti di queste registrazioni celeberrime (che, beninteso, è sempre un piacere ascoltare) ho però trovato le prestazioni di artisti meno noti, come il tenore Petre Munteanu, che è un elegante Duca di Mantova, o la classe di Pierrette Alaire, che sigla un “Caro nome” da ricordare. Oltre alla Messa da Requiem integrale diretta da Ferenc Fricsay (splendida, manco a dirlo) il cofanetto è completato da un cd interamente dedicato alla tradizione del Verdi eseguito in tedesco. Qui sono contenute alcune delle esecuzioni più entusiasmanti: è esaltante ascoltare voci di vero basso come Kim Borg e Georg Hann (entrambi alle prese con la Profezia di Zaccaria) così come nessun “Balen” del Trovatore è in grado di reggere il paragone con la suprema eleganza dell’incisione di Heinrich Schlusnus, la cui esecuzione è un prodigio di raffinatezza e languore amoroso. Ma, per quanto splendido sia Schlusnus (la cui languidezza dipinge finalmente un Conte giovane e innamorato, assai più efficace di certi esperimenti moderni) il brano che da solo vale l’ascolto del cd è “Lodernde Flammen schlagen zum Himmel auf”, ovvero “Stride la vampa”, registrato da Karin Brazell nel 1929: non solo il rispetto dei trilli è scrupoloso in una maniera impensabile per gli artisti italiani contemporanei dell’epoca, ma viene creata un’atmosfera di delirante sospensione, come una macabra ninna nanna, che non è possibile paragonare a nessun’altra incisione. Soprattutto in questi cd appare evidente come oggi si sia perso quell’accento, al tempo stesso retorico e nobile, che costituisce il lievito segreto della musica verdiana; un accento sacrificato spesso sull’altare di una presunta “umanizzazione” dei personaggi e un accento che, invece, troviamo presente a pieno titolo in queste quasi otto ore di musica, testimonianza preziosa di un’epoca passata.

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Riccardo Muti – Il mio Verdi

Pack-MutiMeritoria, indubbiamente, l’iniziativa del Corriere della Sera, che ha presentato in dieci uscite un prezioso cofanetto contenente nove opere in cd e un documentario in dvd dedicati all’arte di Riccardo Muti alle prese con la musica di Giuseppe Verdi. Il titolo, pomposo, dell’intera raccolta è, da solo, tutto un programma: Riccardo Muti, Il mio Verdi. Sgombriamo subito il campo da quelli che, personalmente, ritengo essere i punti deboli della raccolta in questione, ovvero il solipsismo del direttore protagonista di tutte le incisioni, tanto da far sparire il nome dei solisti di canto dal retro di ogni booklet a partire dalla terza uscita, e il continuare nella retorica del Verdi che “diede una voce alle speranze e ai lutti, pianse ed amò per tutti”, secondo una patriottarda definizione di Gabriele D’Annunzio che, personalmente, trovo alquanto superata (ma ribadita nel dvd che costituisce l’uscita n.10 della serie). Verdi cantò l’Italia e gli italiani, questo è fuor di dubbio, ma soprattutto ne cantò i difetti e le contraddizioni, con quell’amore che non cela ma, al contrario, sottolinea quanto può e deve essere modificato: continuare nella retorica facile significa sottovalutare la portata politica del messaggio verdiano che, soprattutto in tempi tristi e complicati come quelli che stiamo vivendo, sarebbe invece molto importante.

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Il sibilo [Opera Rara – Il Salotto]

Il Sibilo - Cd CoverIl fatto che nel corso del XIX secolo i musicofili fossero “costretti” a suonare, vista l’ovvia assenza di qualsiasi supporto di riproduzione del suono registrato, li rendeva degli appassionati molto più attivi, colti e preparati di quanto non siamo noi oggi e la riprova è nella produzione, veramente notevole, di musiche da camera che nascevano per essere eseguite nei salotti delle abitazioni private, permettendo ai divi di potersi esibire nelle case dei nobili più influenti ma, soprattutto, consentendo a talentuosi dilettanti di poter mettere in mostra le loro qualità in esibizioni offerte a un pubblico selezionato. Una riprova dell’attenzione rivolta a questo genere di composizioni è nel quarto volume della serie Il Salotto edita da Opera Rara: il disco prende il suo titolo dalla rivista Il Sibilo che, edita a Napoli per due anni dal 1843 al 1845 (anno in cui venne fusa con Il Dagherrotipo) ebbe la particolarità di non parlare solo di arti e musica ma di stampare musica, offrendo ogni due settimane un’aria da camera stampata in una facciata singola di 27×18 cm. Lo scarso spazio disponibile limitò la pubblicazione ad ariette brevi. ma affascinanti, soprattutto barcarole o piccoli bozzetti musicali, per la composizione delle quali vennero scomodati non solo autori locali, ma anche grande protagonisti della storia dell’opera.

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Viva Verdi – Riccardo Chailly

chaillyIn edicola è disponibile una delle ultime fatiche di Riccardo Chailly alla guida della Filarmonica della Scala: l’album Viva Verdi – Ouverture & Preludi che la scorsa primavera era uscito in tutti i negozi di dischi per la Decca ed ora è acquistabile a un prezzo decisamente inferiore in abbinamento a La Repubblica e L’Espresso. La scaletta del disco prevede le esecuzioni di Ouverture e Preludi da I vespri siciliani, Alzira, La traviata, Il Corsaro, Nabucco, Giovanna d’Arco, Aida, Macbeth e La forza del destino oltre ai balletti da Jérusalem, rifacimento francese de I lombardi alla prima crociata. L’esecuzione è ovviamente eccellente e l’ascolto del disco si rivela un’esperienza addirittura esaltante, anche perché la registrazione è di notevolissima chiarezza. Tuttavia l’ascolto di alcune tra le pagine sinfoniche meno interessanti del primo Verdi, contenute nel cd, mi spinge a chiedere cosa abbia Verdi in più rispetto a molti suoi contemporanei: la Sinfonia di Nabucco è indubbiamente trascinante ed esplosiva, ma (anche prescindendo dalla rozza gestione della coda, con il tema del “Maledetto” che ricompare creando enormi grattacapi a direttori e interpreti) l’Ouverture della donizettiana Maria di Rohan è molto più raffinata e interessante… eppure fior fior di interpreti hanno inciso in studio la Sinfonia di Nabucco e nessuno credo si sia mai preso nemmeno la briga di sfogliare quella della Rohan. Con questo non voglio denigrare certo Nabucco, che trovo un’opera esplosiva e coinvolgente, ma a volte ho come l’impressione che su molti autori del Primo Ottocento aleggi un vero e proprio pregiudizio, in particolare su Donizetti. Vabbé, non c’entra nulla, quindi la finisco qui, e buon ascolto del cd di Chailly.

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Renata Scotto sings Verdi

Scotto sings Verdi SONYIn mezzo alla vera e propria valanga di dischi sostanzialmente inutili (per fortuna che la crisi ha limitato le pubblicazioni, altrimenti saremmo sommersi) che però, almeno nelle intenzioni, dovrebbero risultare degli omaggi a Verdi e Wagner, vorrei segnalare la ristampa di un vecchio e bellissimo recital di Renata Scotto che, nel 1974, registrò per la Cbs un bellissimo florilegio di pagine verdiane recentemente ristampato a prezzo contenuto dalla Sony Classical. La Scotto che si ascolta in questo disco è una Scotto colta in piena fase di passaggio dal repertorio lirico leggero a quello più drammatico e pesante che ne caratterizzerà l’ultima fase della carriera, una Scotto, quindi, che unisce la sostanziale integrità della voce non ancora solcata dagli stridori che si faranno sempre più frequenti a una perizia d’interprete già molto affinata. Alcune delle arie registrate appartengono a ruoli molto amati dal soprano, come è il caso di Giselda dei Lombardi alla prima crociata, la cui grande scena del II Atto è posta in chiusura del disco con una realizzazione maiuscola e trascinante (la splendida frase “pregare mi valga / ascendere a te” riceve un rilievo spettacolare). Nabucco sarebbe stato registrato integralmente dalla Scotto qualche anno dopo con Muti, ma la grande apertura del II Atto qui eseguita viene affrontata con un piglio e una fantasia che meritano certamente di essere conosciute, anche prescindendo dall’insolente puntatura acuta con cui l’artista chiude la cabaletta in questa occasione (e che Muti, ovviamente, vieterà nel cd Emi).

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Mio caro Ossian addio

Come sa chi segue il blog collaboro con piacere al quotidiano online OperaClick. Questo pezzo sull’attesa Norma interpretata da Cecilia Bartoli (al cui discutibile approccio al repertorio del primo Ottocento avevo già dedicato un post) è pubblicato, con mio grande piacere, contemporaneamente sia qui sul blog che nell’HP di OC.

Norma Bartoli Cd“A new vision”, “The return to Bellini’s original conception”, “this iconic opera has been restored as Bellini originally intended”… sono alcune delle frasi con cui l’abilissima campagna di marketing organizzata dalla Decca ha presentato al pubblico il lancio in pompa magna della nuova registrazione in studio della belliniana Norma, ultimo approdo della rilettura del repertorio primo-ottocentesco iniziata da Cecilia Bartoli con il suo album Maria del 2007 (dedicato alla figura iconica di Maria Malibran). Cecilia Bartoli campeggia, vestita come Anna Magnani (ma che c’entra, poi?), in copertina dell’elegante cofanetto appena sfornato, al centro di una grafica aggressiva e glamour che, da lontano, fa quasi scambiare il disco con l’ultimo album di Gianna Nannini (con tutto il rispetto). Le reazioni degli appassionati sono state prevedibili: deliquio per i fans più accaniti, asprissime critiche da parte dei detrattori più agguerriti.

Che prima o poi Norma sarebbe arrivata nel repertorio della cantante romana, dopo La sonnambula e dopo l’incisione in studio di “Casta Diva”, era inevitabile: troppe dichiarazioni portavano in questo senso e la presa di ruolo, sia pur gestita con la prudenza del caso con un debutto al festival di Dortmund, rendeva ormai improcrastinabile una nuova incisione realizzata attorno all’unica artista in grado, oggi, di poter trovare i cospicui fondi necessari per un’incisione in studio che si suppone alquanto costosa, essendo stata realizzata nel corso di tre differenti sessioni (due nel 2011 e una nel 2013). Ma questa Norma è veramente una “new vision”? Francamente no: al termine dell’ascolto permangono molte perplessità, anche maggiori di quelle lasciate dalla sonnambula del 2008, circa i criteri di realizzazione.

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L’altro Verdi: Quartetto in mi minore

In the SouthSono ripetitivo, lo so, ma credo che gli anniversari possano essere spesso una terribile arma a doppio taglio: con l’intento di celebrare e ricordare l’arte di un musicista si rischia, a causa del sovrapporsi di iniziative fin troppo variegate e spesso non gestite con la cura che meriterebbero, una sorta di sovraesposizione mediatica che nuoce, più che giovare, alla memoria di chi si vorrebbe celebrare. Questo è il rischio che si corre, in questo 2013, con il profluvio di allestimenti di traviata, Aida, Rigoletto che saranno messi in scena in Italia e nel mondo in omaggio ai 200 anni dalla nascita di Giuseppe Verdi, come se le sue opere non fossero tra le più rappresentate di sempre. Proprio per questo meritano una segnalazione anche altri tipi di omaggio, forse in apparenza meno spettacolari, ma senz’altro più ricercati e con il merito, tutt’altro che secondario, di gettare spesso una nuova luce su aspetti meno conosciuti di autori che si crede di conoscere a menadito. Il nuovo album del Brodsky Quartet edito dalla Chandos è uno di questi casi: all’interno di una scaletta musicale molto affascinante e ben costruita, infatti, il gruppo inserisce l’esecuzione del grande Quartetto in mi minore di Giuseppe Verdi, strana e curiosa incursione del bussetano nel mondo della musica da camera. Di per sé la composizione di un quartetto d’archi da parte di un grande operista italiano del XIX secolo non sarebbe una notizia molto strana: Gaetano Donizetti, tanto per citare un solo nome, ne scrisse addirittura diciotto, alcuni dei quali veramente molto belli e particolari; quello che colpisce nella composizione di Verdi, però, è il fatto che sia stata scritta in un momento storico molto particolare (1873), quando cioè in Italia ferveva la discussione sull’opportunità o meno di fornire finanziamenti pubblici ai teatri e ai Conservatori mentre la fondazione di molte Società del Quartetto aveva creato una sorta di snobismo dilagante nei confronti della “volgare” opera lirica, considerata inferiore alle lusinghe della musica da camera. L’opinione di Verdi era che lo stato dovesse finanziare i teatri con la produzione di nuove opere: allora i grandi compositori e i grandi musicisti non sarebbero certo mancati, dato che era l’opera lirica il genere in cui la produzione musicale italiana poteva eccellere, a dispetto di chi cominciava a snobbarla in favore delle lusinghe della musica strumentale d’oltralpe.

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Leonora ossia l’amore coniugale di Ferdinando Paër in cd

Scan-130404-0001Ritorno a parlare brevemente della bella opera Leonora ossia l’amore coniugale di Ferdinando Paër perché, come segnalatomi in un commento al post in cui NSB affrontava questa e l’opera di Mayr su soggetto simile, è appena stata ristampata nella serie Australian Eloquence della Decca la bella registrazione in studio del 1978, da grande tempo fuori catalogo. Interpreti dell’opera sono Ursula Koszut (Leonora), Siegfried Jerusalem (Florestano), Edita Gruberová (Marcellina), Norbert Orth (Pizzarro), John van Kesteren (Fernando), Giorgio Tadeo (Rocco) e Wolfgang Brendel (Gioacchino) con la Bayerisches Symphonieorchester diretta da Peter Maag. La segnalazione è d’obbligo perché la ristampa, in tempi di serie super-economiche e super-spartane nella confezione, è avvenuta facendo le cose veramente per bene, sia per quel che riguarda il riversamento sia per quanto concerne il booklet d’accompagnamento, che riporta non solo una nota di Peter Maag relativa alla prima edizione in LP ma anche – udite! udite! – persino il libretto integrale dell’opera. Considerando la complessiva riuscita dell’intera esecuzione musicale trovo questo prodotto un cd da non perdere.

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