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Storia di una puttana

Svetla VassilevaLa recente polemica che, in occasione del ballo in maschera allestito alla Scala di Milano, ha investito lo spettacolo di un regista che ammiro e apprezzo come Damiano Michieletto si è, ancora una volta, arenata molto spesso (almeno nei giornali) sullo scontro tra i cosiddetti passatisti e i cosiddetti modernisti. Si tratta di una distinzione che reputo stupida e semplicistica: non tutte le regie con ambientazione tradizionale sono lodevoli e non tutte le riletture e trasposizioni sono pessime (e viceversa)… è, insomma, la vecchia massima secondo cui un conto è l’ambientazione e un conto e la regia. Lapalissiano, si direbbe, ma non così tanto, stando almeno ai fischi che hanno accolto Michieletto, il quale ha forse avuto l’unico torto di essere l’ultimo spettacolo in un anno scaligero in cui le regie verdiane non hanno certo brillato per fascino. Che l’equazione regia = scenografia = ambientazione sia inutile e fuorviante lo penso da tempo e, soprattutto, lo penso quando leggo i teneri pensieri di chi a teatro cerca il bello e non le brutture della contemporaneità. Mi viene da ridere perché anche Verdi si sentì dire le stesse cose quando portò in scena La traviata: perché raccontare la storia di una puttana con gli stessi abiti indossati dal pubblico in sala? Perché negare all’opera la possibilità di evasione ed essere costretti a guardare nel buio della società che siamo? Allora siamo proprio sicuri che la storia di una puttana (è Verdi a definirla così, e del resto il mestiere che svolge è inequivocabile) non debba coinvolgerci, sconvolgerci, farci pensare… insomma siamo sicuri che l’opera, per sopravvivere, non debba essere più di un semplice diletto e passatempo borghese? (Questa è per i “passatisti”) Ecco allora che la regia diventa un elemento fondamentale per permettere al messaggio eversivo e, perché no, sovversivo dell’opera lirica di emergere nella sua forza… e poco importa che sia regia tradizionale o moderna (una distinzione che trovo priva di senso), ma deve comunque esserci. Siccome sono bastian contrario per natura e per carattere vorrei parlare di un allestimento di traviata che amo molto, quello con regia di Ursel e Karl-Ernst Herrmann della Deutsche Oper am Rhein, Theatergemeinschaft Düsseldolf-Duisburg e Théâtre de la Monnaie di Bruxelles, da me visto nella ripresa del 2007 al Festival Verdi di Parma. Si tratta di uno spettacolo sostanzialmente classico, ma che dimostra come anche un’ambientazione tradizionale possa contenere una regia splendida e coinvolgente. (E questa è per i “modernisti”) Un allestimento che mi sembra la prova vivente di come sia inutile e ridicola questa distinzione stupidina tra allestimenti tradizionali e moderni (magari giudicando uno spettacolo solo da due foto recuperate in rete), perché non basta una scenografia per creare la “tinta” di un’opera, ma dalla scenografia si deve partire per la creazione del teatro.

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