Articoli con tag Youtube

Chiude il canale Youtube di Non solo Belcanto

noyoutubeDopo lunghe riflessioni ho deciso di chiudere definitivamente l’account Youtube collegato al blog. Troppi problemi, questioni e inezie per un qualcosa che dovrebbe portare a rilassarsi e a condividere delle passioni, tanto più se si cerca di stare molto attenti, come ero o presumevo di essere, alle regole di pubblicazione. I balzelli continui, i problemi, i cavilli su registrazioni tra cui la recentissima ciliegina dell’ultim’ora riguardante la cancellazione del video di Jessica Pratt che esegue l’aria “Occhi miei piangeste assai”, che avevo pubblicato non nel video recentemente edito in dvd ma nella registrazione radiofonica della prima del 2011, mi hanno convinto che non ho tempo né voglia di continuare a tenere aperto questo account se dietro ogni angolo si cela un problema e, soprattutto, mi hanno portato a concludere che d’ora in poi il blog farà a meno di video inseriti nei posts. Questo è dunque l’ultimo post con il tag Youtube, tag che lascio attivo perché una gran parte dei video pubblicati proviene da altri canali ancora attivi, ma d’ora in poi non verrà più usato e, di conseguenza, viene eliminata la colonna Voci, Direttori e Artisti, dato che è diventata, per così dire, “useless”. Non è né polemica né protesta: è semplicemente il prendere atto di un dato innegabile: la cancellazione del video “Occhi miei piangeste assai” è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Prendo atto di queste regole e mi adeguo. Mi spiace.

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Dolci suoni

Un post dedicato a tutti quelli che pensano che l’opera sia vecchia, poco attuale e poco in linea con i nostri tempi. Per il suo film del 1997 Le cinquième élément (Il quinto elemento) Luc Besson fa cantare al personaggio di Lady Plavalaguna un frammento della celebre Lucia di Lammermoor donizettiana. La voce è quella del soprano albanese Inva Mula. L’opera e il cinema, a volte, possono anche andare d’accordo.

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Mr. Sutherland

Richard BonyngeIn realtà avevo previsto un altro post per questo sabato, ma l’ennesimo ascolto, avvenuto stamattina, dello splendido recital Romantic French Arias di Joan Sutherland mi ha fatto riscoprire quanto la diva australiana dovesse, per i sommi risultati conseguiti in questo come in altri dischi, alla cultura e alla bravura del marito direttore d’orchestra. In Italia Richard Bonynge è sempre stato snobbato. Non so perché, ma la definizione comune, che lo vuole “Mr. Sutherland” (sostanzialmente legando la sua fortuna discografica e teatrale all’esclusiva presenza della moglie) è dura da mandare via ancora oggi. Io ho sempre pensato il contrario e ho sempre considerato Bonynge un direttore eccellente; eccelleva nel suo repertorio, ovviamente, che consisteva nel Belcanto italiano e nell’opera francese del XIX secolo, ma in questi ambiti è stato ed è davvero un grande. Era (ed è) un direttore innamorato delle voci, innanzitutto, e non si tratta di un’osservazione scontata: per dirigere l’opera italiana dell’800 è necessario amare la voce umana e amarne le potenzialità. Quando Bonynge adattava e ricuciva le parti delle grandi eroine ottocentesche (una su tutte, quell’Anna Bolena che la Sutherland affrontò davvero troppo tardi nella sua carriera) alle possibilità (comunque non comuni) della consorte, applicava un metodo abituale e scontato nella prassi esecutiva del XIX secolo: partiva dall’ovvia considerazione che il successo del cantante avrebbe condotto al successo anche l’opera e, considerando quanto deve la rinascita del belcanto ai grandi cantanti che l’hanno affrontato, aveva ovviamente ragione. Magari le sue letture non erano filologiche (i tagli, anche in studio, erano frequenti), ma erano “giuste”, nella misura in cui era “giusta” l’atmosfera che riusciva a creare. Lo stesso discorso può essere applicato all’opera francese: in Faust, ad esempio, Bonynge è l’unico che non solo non è messo a disagio dall’evidente influsso pompier di molte pagine, ma anziché cercare di sminuirlo vi si butta a capofitto, legando il capolavoro di Gounod al clima di tanti grand-opéra meyerbeeriani. Sarà arbitrario, ma anche affascinante, o almeno io la penso così. È grazie alla sua sensibilità musicale e alla sua sterminata cultura che Joan Sutherland ha scoperto le sue potenzialità nel repertorio che più ne ha esaltato le caratteristiche migliori, confermando in Bonynge una sensibilità nei confronti del canto che è uno dei motivi per cui lo considero un grande musicista e, sì, anche un grande direttore (peraltro ancora in carriera e con risultati egregi, come dimostrano alcune recenti incisioni Naxos). E siccome il luogo comune vuole che non si è grandi se non si canta e/o dirige Mozart mi adeguo alla vulgata nell’ascolto che segue il salto.

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Buon 2013!

Che la fine di questo 2012 possa essere festosa e, visto che quanto mi ero augurato 365 giorni fa per l’anno che sta finendo non si è avverato, stavolta direttamente non mi auguro nulla, ma propongo l’ascolto di un’ospite d’eccezione al ricevimento di un Fledermaus d’eccezione:

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Buon Natale!

Chi mi conosce sa che non sono una persona particolarmente legata al clima di festa di questi giorni: per motivi miei (che restano miei) non amo molto il Natale e non partecipo dell’ansia di farsi per forza gli auguri o, peggio, regali inutili. Per tutti coloro che non la dovessero pensare come me… c’è comunque questo post, con tanto di gift musicale. 😉 Auguri di Buone Feste per la Vigilia di oggi e la Festa di domani.

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Maria Callas: Callas at La Scala

Callas at La ScalaIn quasi due anni di attività del blog questo è il primo post che dedico all’arte di Maria Callas. Una mancanza per certi versi imperdonabile, dettata dalla mia personale idiosincrasia nei confronti dei “vedovi” più intransigenti, quelli che ritengono la mitica greca interprete incomparabile anche dei ruoli che non ha cantato, perché se li avesse cantati allora sì che non ci sarebbe stato spazio per nessuno. Il risultato del mio confronti con alcuni di questi “vedovi” è che per qualche periodo ho messo un po’ la Callas da parte, salvo poi riscoprirla come si riscopre un amico da cui ti eri allontanato per un’incomprensione indipendente dal vostro rapporto e, dato che negli ultimi tempi è stato questo il disco che è finito più volte nel mio lettore, questo propongo come “debutto” callasiano su queste pagine. Callas at La Scala  (attualmente disponibile nel catalogo Emi solo all’interno di un poderoso cofanetto che raccoglie tutti i recital in studio della Divina) nacque come una sorta di fotografia dei ruoli che, nel 1955, il soprano aveva portato in scena nel massimo teatro milanese: Medea di Luigi Cherubini nel 1953, La Vestale di Gaspare Spontini nel 1954 e La sonnambula di Vincenzo Bellini nello stesso anno, 1955, in cui ebbero luogo le sessioni di registrazione del disco in questione. La cosa curiosa, tuttavia, è che la Callas non si reputò soddisfatta del risultato ottenuto con le due grandi arie di Amina, tanto che ne vietò la pubblicazione e la Emi, che all’epoca aveva già in catalogo due album della Callas, Puccini Arias e il mitico Lyric and Coloratura Arias, pubblicò solo le arie di Medea e Vestale nel 1958, unendole alle arie di Amina tratte dalla registrazione integrale con la direzione di Antonino Votto. Ascoltando la sua Amina pudica e dolente si resta sorpresi e quasi stupiti del divieto callasiano, dato che si tratta di un’interpretazione ovviamente notevolissima (e che, per la cronaca, venne commercializzata dalla Emi un anno dopo la sua morte, aspettando il ventennale del 1997 per ristampare il disco così come avrebbe dovuto essere concepito in origine).

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Pronti per oggi?

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Il recital in una camera

Ho in più occasioni espresso (ad esempio parlando delle composizioni di Rossini, Verdi e Crescentini) la mia passione per la produzione di musica vocale da camera di autori italiani. Resto in tema, per l’occasione, segnalando un vecchio LP (che non mi risulta mai essere stato riversato in cd) del soprano Elvidia Ferracuti registrato a Recanati il 6 ottobre 1986 con l’accompagnamento al piano di Paola Mariotti: il programma del recital alterna celeberrime pagine rossiniane dalle Soirées Musicales a due bellissimi frammenti donizettiani (La Gondoliera e La Fidanzata) chiudendosi con tre verie e proprie chicche come la romanza del livornese Fabio Campana La Veglia e due frammenti del tolentinate Nicola Vaccaj: l’aria Il Cosacco del Volga e la romanza “Alle più tristi immagini” dall’opera Virginia, riscoperta dalla stessa Ferracuti che ne ha anche curato la riduzione per canto e piano dalla partitura originale per orchestra. Soprano marchigiano, nata a Petritoli (Fermo) nel 1935 e residente a Pesaro, Elvidia Ferracuti è affettuosamente conosciuta come la “Rosina delle Marche”, in omaggio al suo ruolo rossiniano più eseguito e amato, oltre che all’attaccamento alla regione in cui è nata: con questo post mi piace ricordare anche il suo impegno come concertista e ambasciatrice delle composizioni da camera che, spesso, rivelano insospettabili tesori nascosti. Un piccolo tesoro nascosto è anche questo bel recital, che temo non abbia affatto goduto di grande diffusione, mentre si rivela molto gradevole e interessante.

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Girolamo Crescentini: Cantate e Ariette a voce sola e fortepiano

Crescentini Cantate e ArietteSono sempre stato convinto che il disco (e quindi il cd, che del disco nero è diretto erede) sia stato e sia tuttora un grandissimo veicolo culturale, nonostante i limiti del marketing, dei contratti, della creazione di divi discografici e, insomma, nonostante buona parte del mondo orbitante attorno alle grandi major dell’incisione. Major che, difatti e non a caso, sono tutte in crisi più o meno profonda, lasciando spazio (dovrei aggiungere ancora per poco, dato che la lenta agonia dei negozi di dischi non permette di credere a un futuro roseo) a etichette di minori ambizioni milionarie ma di grandissima vivacità intellettuale e culturale, come è il caso della Tactus. Molto interessante, per tutti gli appassionati di Belcanto, è una delle ultime pubblicazioni inserite da questa attivissima casa discografica nel proprio catalogo, ovvero le Cantate e ariette per voce sola e fortepiano composte dal celebre castrato Girolamo Crescentini che, essendo nato a Urbania (PU), viene inserito di diritto tra i post della Musica di Marca. Oltre ad essere stato un virtuoso di rango Crescentini fu anche un celebre didatta (tra l’altro maestro della futura signora Rossini, Isabella Colbran) e un compositore di talento, come dimostra uno dei suoi cavalli di battaglia, ovvero il Giulietta e Romeo di Zingarelli, che conobbe una duratura popolarità anche (se non soprattutto) grazie alla versione composta da Crescentini stesso dell’aria di Romeo “Ombra adorata aspetta” che, secondo la leggenda, commosse fino alle lacrime Napoleone in persona, che lo invitò a Parigi dove Crescentini risidiette dal 1806 al 1812. Per inciso Zingarelli fu abbastanza seccato che il brano più di successo della sua opera fosse un’aria… non autografa!

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Sotto la parrucca…

Stavolta il gioco per Edita Gruberová e Christof Loy non è riuscito, né alla cantante né al regista, e nessuno dei due replica il grande miracolo del Roberto Devereux e, nel caso della sola Gruberová, la sorprendente riuscita della Norma: deludente, difatti, questa Lucrezia Borgia immortalata in dvd dalla Medici Arts (e disponibile nel catalogo della EuroArts con tanto di succulento bonus sull’arte del Belcanto che non mancherà di destare deliqui nei fans) che riproduce il debutto scenico (quello vocale era avvenuto poco prima al Liceu di Barcellona) della Santa di Bratislava nel ruolo della fosca figlia di papi ospitato, manco a dirlo, alla Bayerischen Staatsoper di Monaco. L’opera, come già il Roberto Devereux, non è del tutto adatta all’organizzazione vocale dell’artista (e in questa fase della carriera, poi) ma in questo caso non aiuta nemmeno lo spettacolo di Christoph Loy, tanto riuscito, coinvolgente e interessante nel raccontare le vicende della corte inglese quanto confusionario, concettoso e fumoso nel destreggiarsi tra le mortifere atmosfere del Rinascimento italiano. Si tratta, innanzitutto, di un allestimento rumorosissimo, tanto da risultare irritante: tutti saltano, cadono, gettano sedie, si spintonano con dovizia di tonfi, botte e colpi senza che se ne capisca la ragione, visto che alla fine operano tutti senza che se ne colga nessun apparente costrutto. La scena, come nel Roberto Devereux, è fissa: un’unica parete grigia semovente (che durante tutta la durata dell’opera scivolerà sempre più verso sinistra rivelando il nero dello sfondo) su cui spicca, in brillanti caratteri illuminati, il titolo dell’opera con il nome della protagonista principale: LUCREZIA BORGIA. La scelta di una gestione scenica fortemente simbolica non desta alcuno scandalo, sia chiaro, e anzi potrebbe permettere a un regista di risolvere molti problemi spinosi presenti nel libretto: come gestire, ad esempio, il problema di Gennaro che nel Prologo spensieratamente dice “Io dormirò, destatemi quando finito avrà” e resta venti minuti in scena addormentato come un baccalà mentre Maffio conclude l’Introduzione e Lucrezia esegue la sua lunga cavatina d’entrata (ancora più lunga se si inserisce – ma non è questo il caso – anche la cabaletta scritta per la Grisi)?

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