Come un velo di sposa

Macerata 1993 - Atto I - AperturaCi sono allestimenti cui ognuno di noi è particolarmente legato, sia per ragioni affettive che anagrafiche. La Lucia di Lammermoor del “team” formato da Henning Brockhaus alla regia e Josef Svoboda per le scene è uno di questi spettacoli per il sottoscritto, dato che fu con assistendo a questa regia che “debuttai” da spettatore allo Sferisterio di Macerata, ovvero il teatro cui sono più affezionato in assoluto. L’allestimento nacque nel 1993, seconda stagione ideata dalla sovrintendenza di Claudio Orazi, sull’onda del trionfo e dell’impressione suscitata dalla Traviata “degli specchi” che aveva debuttato l’anno prima meritandosi anche il Premio Abbiati della Critica Italiana del 1992: la decisione di riproporre la stessa accoppiata di scenografo e regista anche per il capolavoro donizettiano si rivelò vincente e Brockhaus e Svoboda non mancarono di segnare anche Lucia di Lammermoor con il loro personalissimo “segno” scenico, in grado di valorizzare uno spazio così atipico e particolare come lo Sferisterio, palcoscenico lungo e stretto, impossibile (o quasi) da riempire con spettacoli di taglio tradizionale.

Macerata 1993 - Durante le prove 1In Traviata tale segno era costituito dalla vera e propria lamina di luce costituita dall’enorme specchio inclinato a riflettere quanto avveniva sul palcoscenico (poi talmente citato in talmente tanti spettacoli da sfiorare il plagio): in Lucia il segno è un immenso velo grigio, quasi della stessa tonalità della monumentale scalinata praticabile posta a costituire l’unico elemento scenico. Tutto qui. Pochi elementi, ma molto spettacolari (alla prima tornata di recite dell’allestimento, nel 1993, la scalinata copriva addirittura tutta la lunghezza dei quasi 100 metri del palcoscenico dello Sferisterio, dato che serviva anche per l’altra opera in programma, Rigoletto), utilizzati nell’evocazione di atmosfere misteriose, sognanti, oniriche… fascinosissime. L’enorme telo, costruito in un materiale che Svoboda chiamava psicoplastico, aveva infatti una particolarità: a seconda dell’illuminazione poteva sembrare impalpabile e trasparente oppure solido e incombente come una roccia. Il merito, ovviamente, va all’enorme fantasia del grande scenografo ceco, che decise di utilizzare un tessuto industriale, stroppiciato grazie al calore, in grado di presentare una simile duttilità scenica. Sul telo vengono proiettate, nel corso dell’intera serata, immagini e filmati che aiutano nella definizione di uno spazio che non è uno spazio reale, ma piuttosto un luogo dell’anima, una scenografia onirica estremamente suggestiva.

Macerata 1993 - Atto I - Come vinti da stanchezzaAll’inizio dell’opera il telo è steso sopra l’enorme scalinata, come un sudario, e si solleva lentamente allo snodarsi misterioso del preludio, fino a restare sospeso sopra la scalinata, una tetra foresta proiettata su di esso, mentre il coro (in severi abiti militari, con corazze e scudi) si dispone in una formazione a cuspide per intonare il suo “Percorrete le spiagge vicine”. L’impatto che la regia di Brockhaus riesce a ricreare è quello di una società maschile, maschilista e opprimente, in cui non è difficile immaginare la fragile personalità femminile di Lucia schiacciata irrimediabilmente da regole troppo assurde o troppo difficili da seguire. Il “falconiere” che svela l’arcano di Edgardo è condotto in scena al rientro del coro (presumibilmente torturato per fargli confessare il nome di Ravenswood, dato che è coperto di sangue) per essere brutalmente ucciso prima della cabaletta di Enrico. Anche i costumi contribuiscono a questa sensazione di estrema violenza e oppressione, dato che sono tutti giocati sui toni del marrone e del nero, con gli inquietanti bagliori dati dal riflesso delle luci sulle corazze.

Macerata 1997 - Atto I - Lucia 1L’ingresso di Lucia, in questo universo, è assolutamente spettacolare nella sua semplicità: il velo, che fino a questo momento ci era parso solido e incombente, diventa leggerissimo e trasparente, come il tulle di una sposa (e in fondo La sposa di Lammermoor è il titolo originale del romanzo di Walter Scott da cui è tratta l’opera). Su di esso si proiettano immagini di prati fioriti e delle onde del mare (il “mar che mormora”). In questa esplosione di colori, al centro del prato pieno di fiori, appare Lucia in uno squillante abito rosso passione, accompagnata da Alisa, vestita invece in blu. In un angolo, in scena, l’arpa rappresenta anche visivamente la giovinezza e l’entusiasmo della protagonista. L’effetto di questa violenta macchia di colore rosso, data dall’abito di Lucia, che si muove e spicca nel grigio della scalinata, come un fiore in movimento all’interno della proiezione del prato, è quello di un’improvvisa esplosione di vitalità e di giovinezza in un universo segnato dalla violenza e dalla sopraffazione. Violenza e sopraffazione che, per inciso, non escluderanno nemmeno Edgardo, dato che nel duetto subito seguente egli, significativamente, saluterà Lucia con un minaccioso “Rammentati, ne stringe il Ciel”, che sembra esulare decisamente dal clima amoroso di “Verranno a te sull’aure”.

Macerata 1993 - Atto I - Lucia e AlisaPrima, però, c’è il celebre racconto del fantasma apparso a Lucia tra le acque della fontana. La trasparenza del velo scompare; le increspature si fanno solide come quelle di inquietanti rocce illuminate dalla luna e l’immagine del fantasma appare come quella di un cumulo di nubi sospeso sopra una Lucia minuscola e fragile. Per ottenere questo effetto era essenziale la bravura di una giovane Valeria Esposito, Lucia nel 1993 e 1997 a Macerata, che esprimeva benissimo la gioventù indifesa di un personaggio pieno di voglia di vivere nell’entusiasmo di una gioia di cantare che poche volte ho avuto modo di trovare in esibizioni dal vivo: in quegli anni, a Macerata, la Esposito interpretò numerosi personaggi, tutti in maniera ottima, ma forse nessuno ebbe il fascino della sua Lucia, soprattutto nelle recite del 1997. Quando il ruolo passò a Mariella Devia nella ripresa del 2003 Brockhaus cambiò leggermente la regia, sottolineando la giovinezza del personaggio contando (a ragione) sull’immacolata purezza del canto della Devia, che non aveva il contagioso entusiasmo giovanile della Esposito, ma aveva il vantaggio di suggerire una Lucia quasi infantile e giocosa, che nel cantare “Quando rapito in estasi” si poneva seduta al proscenio con le gambe penzoloni in orchestra, a suggerire un’impossibile fuga dal mondo costituito dal chiuso e maschilista universo che avevamo visto nella prima scena.

Macerata 2003 - Atto I - Regnava nel silenzioIl momento più toccante di questo Primo Atto è però costituito dalla resa dello splendido “Verranno a te sull’aure”: Lucia resta al proscenio mentre Edgardo si avvia sui primi gradini dell’enorme scalinata. Il velo scende e ridiventa trasparente, una barriera impalpabile ma presente e lacerante, tesa a separare i due amanti. Mentre viene proiettata l’immagine del “mar che mormora” l’unisono del duetto, cantato da Lucia ed Edgardo posti a una distanza che il pubblico avverte come enorme, tutto lo strazio di questa separazione viene rappresentato in maniera efficacissima. Contribuiva all’effetto, ovviamente, anche l’enorme palco dello Sferisterio, in cui le due figure apparivano come schiacciate dalla monumentalità della scenografia.

Macerata 1993 - Atto II - DuettoAll’inizio del II Atto Lucia viene brutalmente spogliata del suo abito rosso e rivestita con uno dal taglio simile, ma dall’agghiacciante tonalità bianca, specchio forse del “pallor funesto orrendo” che ricopre il suo volto: bianco come il vestito di una sposa, ma bianco anche come un sudario. Lucia stessa si fa svestire e rivestire (dietro il velo, durante un preludio) come un manichino privo di vita, rendendo palese anche visivamente lo svuotamento di energie cui viene sottoposta dalla lunga, e vana, attesa di una lettera dell’amato. In scena c’è solamente un tavolo, posto di sbieco sulle scale, che nel disordine della sua posizione sembra già riflettere il disordine che si sta creando nella mente di Lucia. Un momento molto efficace, ancorché non così geniale, è nella resa dell’aria di Raimondo, un brano che (nonostante la mia provata fede donizettiana) ho sempre trovato noiosissimo, ma che si tinge di inquietanti sfumature nella reiterazione ossessiva, da parte di Lucia, del gesto di girare attorno a Raimondo e che si chiude con l’immagine dalla ragazza “crocifissa” tra le braccia dell’uomo, aperte nella posizione dell’accoglienza e del perdono ma, in realtà, aperte per accogliere il sacrificio estremo della ragazza. Non nuovo e sicuramente di simbologia un po’ qualunquista, ma comunque efficace, soprattutto dopo il teso duetto con Enrico.

Macerata 1993 - Atto II - MatrimonioIl matrimonio si caratterizza per la volgarità dei suoi invitati e per l’evidente venalità di Enrico nell’accogliere non tanto Arturo, quanto i suoi soldi (del resto era stato abbastanza esplicito su questo punto durante il duetto con la sorella). Le proiezioni, in queste scene, non assumono la stessa importanza onirica del prato o del mare che avevano accompagnato l’ingresso in scena di Lucia, ma caratterizzano (come la spettrale foresta vista nella prima scena durante l’aria di Edgardo) un ambiente opprimente, chiuso nell’alternanza di bianco e nero, quindi privo del “colore” portato dall’amore e dalla passione di Lucia. La regia di Brockhaus è tendenzialmente tradizionale e non si segnala per particolari innovazioni: regola con discreta classe entrate e uscite e crea suggestivi tableux vivants con i preziosi costumi storici al momento del sestetto. In generale, così come era accaduto l’anno prima in Traviata, non è tanto il lavoro di regia a colpire in questa Lucia di Lammermoor (con alcune eccezioni si tratta, anzi, di una regia sostanzialmente tradizionale) quanto la sua efficacia nel relazionarsi con il forte segno scenografico lasciato da Svoboda, in modo da creare atmosfere astratte ma capaci di evocare con pochissimi elementi la nebbia e la tristezza di una Scozia senza speranza e senza sole.

Macerata 2003 - Atto III - PazziaUn guizzo della regia avviene nella gestione della scena della pazzia, coerentemente con l’immagine che della protagonista ha Brockhaus: “Nella maggior parte dei numerosi allestimenti dell’opera che sono stati proposti sui palcoscenici di tutto il mondo, Lucia è predisposta alla follia fin dalla prima entrata. Io non la credo affatto folle fin dal principio, ma al contrario una persona piena di emozioni giuste, umane, sane. Lucia è in pieno possesso della sua vita empatica, ammette il dolore, conosce l’amore e lo vive emozionalmente, la gioia che Donizetti sottolinea con tutta l’introduzione dell’arpa, le angosce più profonde del nostro essere e, contrariamente a suo fratello, lei vive queste emozioni.” Per questi motivi la scena della pazzia deve essere resa come una scena d’amore: “La protagonista viene poi condotta alla follia da giochi di potere e inganni ad esso legati. Il culmine dell’opera è la famosa scena della follia che viene sempre rappresentata seguendo i clichés di quello che noi pensiamo sia folle con strani gesti e atteggiamenti secondo me gratuiti che non arrivano in nessun modo al vero nucleo di quanto accade con Lucia. È sorprendente che Cammarano e Donizetti la facciano parlare di Edgardo pur avendo appena assassinato Arturo. Lucia assassina parla con amore di Edgardo. Per me c’è una sola spiegazione a questa scelta drammaturgica: in verità Lucia è stata spinta alla schizofrenia. Si è ribellata ai giochi di potere esterni a lei, ammazzando Arturo per salvare dentro di sé la sua vera vita emozionale, cioè l’amore verso Edgardo. Nella mia lettura Lucia arriva in scena con il cadavere di Arturo, ma per lei questo morto diventa in una proiezione psicologica il simbolo del suo amore per Edgardo. Tutta la scena (come dimostra la musica) è piena d’amore. Tutti rimangono scioccati e quasi pietrificati (Donizetti non fa più cantare né il coro né Raimondo): Lucia riesce a realizzare il suo vero amore solo con il morto Arturo.” Quella che, a una prima visione, può quindi sembrare una scelta inutilmente pulp, si rivela come la logica conseguenza del percorso psicologico intrapreso da Lucia.

Macerata 1997 - Atto III - PazziaCon il morto Arturo Lucia sembra quasi giocare, abbracciandolo, baciandolo e, insomma, rivivendo in lui l’amore mai vissuto con l’amato Edgardo. Anche in questo caso la resa delle due primedonne che hanno affrontato il ruolo a Macerata differiva nella creazione di due personaggi molto efficaci: all’interno della medesima cornice di festa volgare e chiassosa, con gli ubriaconi addormentati a terra, la Esposito creava una Lucia ancora vitale, con slanci di disperazione alternati ad altri di gioia, in una resa vocale molto brillante e persuasiva. La Devia ritornava, invece, a fuggire dalla realtà intonando la cadenza con il flauto ancora una volta con le gambe penzoloni in orchestra, quasi in un tentativo di evasione dallo spazio scenico (pur così enorme) verso un altrove visto come sicuro rifugio. Non disturbava, in questo contesto, nemmeno l’accenno a passi di danza che Lucia compiva in “Spargi d’amaro pianto”, riflettendo il ritmo della musica, dato che a legger bene il testo si tratta di un invito rivolto ad Edgardo per una prossima ricongiunzione celeste.

Macerata 1997 - Atto III - TombeMolto bella anche la scena finale: bastano gli scudi degli sgherri di Enrico del I Atto, posti sulla scalinata, a suggerire le lapidi del cimitero dei Ravenswood in cui Edgardo aspetta Enrico per il duello promesso, in una scelta tanto più suggestiva perché realizzata con una simile economia di mezzi. Edgardo si suicida e, sulle note di “Tu che a Dio spiegasti l’ali”, il velo lentamente scende e si accartoccia sulla scalinata, come un sudario pronto ad accogliere l’uomo morente, mentre il coro è definitivamente separato dall’universo dei due amanti (un universo in cui è possibile trovare l’amore solo nella morte) dall’accartocciarsi del telo, che diventa una barriera invalicabile. Allo Sferisterio l’effetto era strepitoso e commovente, suscitando sempre l’entusiasmo e l’emozione del pubblico, proprio per l’attenzione sottile e intensa riservata alla creazione di un’atmosfera perfetta per il disperato cupio dissolvi di questo capolavoro donizettiano.

Stagione Lirica Jesi 2012 - Atto I - Quando rapitoLa “vera” Lucia di Lammermoor di Brockhaus e Svoboda, quindi, è quella vista in queste occasioni allo Sferisterio (e portata in tournée in qualche altro teatro, tra cui ad esempio il Ventidio Basso di Ascoli Piceno) e non quella ricostruita dalla Fondazione Pergolesi Spontini e allestita nell’ambito della Stagione Lirica 2012 del Teatro Pergolesi di Jesi in coproduzione con i teatri del circuito lombardo (Teatro A. Ponchielli di Cremona, Teatro Sociale di Como, Teatro Grande di Brescia, Teatro Fraschini di Pavia), il Teatro Alighieri di Ravenna, il Teatro dell’Aquila di Fermo e il Teatro Coccia di Novara. Sia chiaro: la Fondazione ha avuto un’ottima idea nel riallestire uno spettacolo così bello, perché è giusto che anche chi non ha avuto la fortuna o l’opportunità di vederlo allo Sferisterio potesse assistervi, ma i cambiamenti voluti da Brockhaus a costumi, proiezioni e regia non hanno restituito se non in minima parte quella che era la magia della scena originale. Il fascino del monumentale impianto scenografico, costituito dalla scala con il velo sospeso, sarebbe stato ridimensionato per forza di cose, dato che nessuno dei teatri coinvolti nella coproduzione poteva vantare l’abnorme boccascena dello Sferisterio, ma il problema non era solo nella costrizione della scenografia.

Stagione Lirica Jesi 2012 - Atto I - LuciaTanto per cominciare i nuovi costumi di Patricia Toffoluti (che hanno sostituito quelli originali di Pasquale Grossi) sono sembrati davvero brutti: Brockhaus voleva togliere ogni riferimento storico, ma questo ha portato alla creazione di una commistione di stili ed epoche francamente discutibile: ineliminabili gli scudi del I Atto, dato che servono anche per la scena delle tombe, ma allora perché connotare i Ravenswood con abiti anni ’20? Le nuove proiezioni, inoltre, non hanno affatto convinto: l’astratto e sublime campo di fiori all’interno del quale Lucia entrava in scena a Macerata è diventato un prato di margherite che, oltre ad essere troppo simile a quello analogo del II Atto della Traviata “degli specchi”, prendeva fuoco in maniera decisamente troppo didascalica durante l’aria di Raimondo. Il poeticissimo ingresso in scena di Lucia è stato sostituito da una brutta partita a volano della protagonista con Alisa e due amiche, le quali ritorneranno durante la scena del matrimonio per muoversi come marionette impazzite, con effetto che forse voleva essere straniante ma risultava, in realtà, solo irritante.

Stagione Lirica Jesi 2012 - Atto III - FestaA Macerata la volgarità degli Ashton era sottolineata dalla presenza di ubriaconi che facevano da sfondo alla pazzia: una scelta magari discutibile, ma comunque efficace nel creare un clima di indifferenza al sacrificio di Lucia; visualizzare una vera e propria orgia (cui sembra partecipare anche Raimondo) come si è visto a Jesi, via, è stato davvero troppo. Insomma, la scelta di riprendere uno spettacolo così storico, sulla carta, sembrava interessante e vincente e, del resto, la Fondazione Pergolesi Spontini aveva già fatto centro riallestendo La traviata “degli specchi” e il Macbeth (sempre a cura di Brockhaus e Svoboda), quest’ultimo peraltro pochi giorni prima di questa Lucia. Tuttavia si poteva accettare il necessario ridimensionamento della monumentale scenografia (anche La traviata perdeva molto del suo fascino in un teatro al chiuso, ma restava comunque uno spettacolo estremamente fascinoso) ma la variazioni di regia, costumi e proiezioni hanno anche impoverito la poesia dell’allestimento originale. Questa, ovviamente, è solo la mia opinione, ma mi spiace che alcuni amici (che non hanno mai visto questa Lucia a Macerata) si siano approcciati a uno spettacolo così bello in questa discutibile ripresa.

Le foto che accompagnano l’articolo e che sono visionabili nelle dimensioni originali anche nella photogallery che segue questa nota conclusiva si riferiscono alle tre occasioni in cui Lucia di Lammermoor nello spettacolo di Svoboda e Brockhaus venne allestita allo Sferisterio di Macerata (nel 1993 diretta da Donato Renzetti con Valeria Esposito, Roberto Aronica, Roberto Servile e Armando Caforio, nel 1997 diretta da Lü Jia con Valeria Esposito, Roberto Aronica, Giovanni Meoni e Giorgio Giuseppini e nel 2003 diretta da Alain Guingal con Mariella Devia, Aquiles Machado, Stefano Antonucci e Riccardo Zanellato) e alla ripresa del novembre 2012 al Teatro Pergolesi di Jesi nell’ambito della Stagione Lirica 2012 organizzata dalla Fondazione Pergolesi Spontini con la direzione di Matteo Beltrami e la presenza di Sofia Mchedlishvili, Gianluca Terranova, Julian Kim e Giovan Battista Parodi. A questa ripresa jesina si riferiscono anche le dichiarazioni di Henning Brockhaus riprese dalle “Note di Regia” pubblicate nel programma di sala della Fondazione Pergolesi Spontini. Le foto sono di Alfredo Tabocchini (Macerata) e Stefano Binci (Jesi).

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