Per piano o per fiati

Settembre come “mese rossiniano” si era chiuso con un omaggio alle composizioni vocali da camera (un genere che, personalmente, amo moltissimo) del pesarese: un buon motivo per dedicare un post anche alla produzione verdiana per voce e pianoforte, sebbene la sua esiguità (una trentina scarsa di liriche) non nasconda lo scarso interesse nutrito da Giuseppe Verdi per un genere sentito, evidentemente, come d’occasione. Su questi brevi frammenti per voce e piano pesa, inoltre, il giudizio tutt’altro che lusinghiero espresso da Massimo Mila ne La giovinezza di Verdi: “Sono composizioni modeste, che prolungano il gusto provinciale della romanza da salotto, già largamente coltivata da Verdi a Busseto”. Che si tratti di pagine molto spesso non indimenticabili e, sicuramente, non paragonabili per quantità e qualità alla produzione rossiniana o donizettiana (quest’ultima, peraltro, davvero sterminata) è innegabile, ma questi brevi bozzetti (la maggior parte dei quali risalgono a prima del 1850) meritano di essere conosciuti, sia perché spesso assolutamente godibili, sia per la curiosa storia che si cela dietro ad alcuni di essi. In generale le arie da camera verdiane toccano a volte temi patriottici, molto più spesso quelli romantici dell’amore tradito e/o doloroso e, in qualche caso, anche atmosfere popolareggianti. A differenza di quanto avverrà con la produzione cameristica di Giacomo Puccini, in quella di Verdi non si ravvisano evidenti spunti tematici che poi verranno travasati nelle opere liriche, quanto piuttosto suggestioni che richiamano temi poi celebri e/o affinità nella costruzione della melodia. In ogni caso molti critici hanno fatto notare la presenza di spunti riconoscibili, afferenti non solo La traviata o La forza del destino, ma persino la seduzione di Dalila “Mon coeur s’ouvre à ta voix” dal Samson et Dalila di Camille Saint-Saëns.

La Patria, inno dedicato a Ferdinando II su testo di Michele Cucciniello, si snoda sul tema di “Si ridesti il leon di Castiglia” dell’Ernani, ma è un’eccezione. Verdi non pubblicò, lui vivente, tutte le romanze e arie da camera che ci sono pervenute e, nel caso di alcuni brani, la loro conoscenza da parte del grande pubblico è avvenuta solo nel XX secolo. È il caso di “Al tuo bambino”, brevissimo bozzetto composto nel 1850 a Trieste, in cui Verdi si trovava per il debutto del suo Stiffelio: l’arietta venne scritta per la nascita di Gabriele Severi, figlio del commerciante Giovanni Severi, e si trattò, sia per Verdi che per Francesco Maria Piave che ne stese il testo, di un componimento d’occasione. Quando, nel 1889, l’ormai adulto Gabriele chiese a Verdi una dedica personalizzata si sentì burberamente rispondere: “Da molti anni non faccio né ricevo dediche. Se mi fosse permesso, la pregherei anzi a mia volta di rimandarmi quelle poche battute di musica, che non hanno valore né importanza di sorta”. Ovviamente Gabriele non restituirà affatto il pezzo, che sarà pubblicato solo nel 1951.

“Pietà Signor”, splendida preghiera su testo di Boito, venne invece pubblicata nel 1894 in Fata Morgana, numero unico benefico a favore delle vittime del terremoto di Sicilia e Calabria: Verdi era stato invitato a contribuire dal letterato Giuseppe Mantica e accettò volentieri, rivedendo anche il brano prima della pubblicazione.

Se “Sgombra gentil” è interessante perché si tratta dell’unico testo di Alessandro Manzoni, esclusi alcuni inni giovanili, musicato da Verdi (si tratta di un frammento dell’Adelchi databile al 1858) è interessante la storia del comico e guascone “Stornello”, destinato ad un Album collettivo del 1869 a beneficio di Francesco Maria Piave, paralizzato: “Bisogna fare quest’album per Piave. È quasi certo che Auber e Thomas daranno due pezzi: io farò il terzo”. (gli altri saranno di Mercadante, Ricci e Cagnoni). Il brano, su testo di anonimo, si struttura in due strove lievi e gradevoli, da accentare con spirito. A questo stile popolaresco e comunicativo (la maggior parte delle romanze è scritta in ritmi forti e decisi, come il valzer) appartengono anche le due stesure del “Brindisi” (1845) su un moralistico testo di Andrea Maffei: ovviamente non c’è nessuna affinità con le raffinate atmosfere parigine di Violetta nella Traviata, dato che questo è un brindisi schietto, rustico e popolareggiante. Un’altra raccolta pubblicata in vita da Verdi furono le Sei Romanze edite da Lucca nel 1845 (cui appartiene peraltro proprio il “Brindisi”), in cui spicca la toccante meditazione “Il tramonto”, ancora su testo di Andrea Maffei.

Nel 1838 altre Sei Romanze per Canto con accompagnamento di Pianforte erano comunque state pubblicate da Ricordi, presentando anche due frammenti dal Faust di Goethe (“Perduta ho la pace” e “Deh, pietoso oh Addolorata”) su traduzione del bussetano Luigi Balestra. Spulciando tra i vari testi appare curiosa la storia de “Il brigidino” su testo di Dall’Ongaro, databile al 1861 e composto, secondo la leggenda, durante le sedute in parlamento che Verdi trovava interminabili, noiose e inutili.

Frequentate spesso da concertisti e cantanti, le romanze hanno trovato tuttavia poche incisioni monigrafiche: Margaret Price ne ha incise quindici per la Deutsche Grammophon con il piano di Geoffrey Parsons, al momento edite in cd solo nell’imponente integrale verdiana venduta in cofanetto dalla Decca, mentre Dennis O’Neill è al centro di un album Naxos. Renata Scotto e Paolo Washington sono invece gli interpreti dell’integrale Nuova Era, accompagnati al piano da Vincent Scalera, un’integrale da cui tuttavia è assente “Cupo è il sepolcro e mutolo” (il cui autografo è stato rivenuto negli archivi del Teatro alla Scala) nonché il terzetto con flauto e pianoforte “Guarda che bianca luna”: benché declinante la Scotto è ancora una dicitrice strepitosa e il disco, registrato live al Teatro Regio di Parma l’8 settembre 1989, è stato recentemente ristampato a prezzo praticamente stracciato. Il terzetto è invece presente nell’integrale, registrata sempre a Parma, che schiera un eccezionale trio di interpreti formato da Mariella Devia, il compianto Sergej Larin e Michele Pertusi, che affrontano le arie in trascrizioni di Andrea Chenna per il Parma Opera Ensemble (formato da flauto, ottavino, oboe, clarinetti, fagotti, corni e contrabbasso). Il doppio cd, edito da Stradivarius, è forse l’emissione migliore e le trascrizioni per orchestra da camera di fiati accentuano il lato operistico di alcune romanze che presentano la struttura lirica di aria e cabaletta tipica del teatro musicale (come è il caso dell”Esule”).

E con questo minuscolo viaggio nelle arie da camera verdiane si chiude anche il mese di ottobre.

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